La privatizzazione della fede: Una questione ancora aperta
di Leonardo Salutati • Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Messico, rispondendo a una domanda sulla questione immigrazione, il Papa ha commentato le posizioni di Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati uniti, dicendo che: «una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo». Trump, che in passato si è definito cristiano presbiteriano e che già aveva definito il Papa «una figura molto politicizzata» che «non comprende i problemi che abbiamo noi americani con l’immigrazione», ha immediatamente risposto in modo piccato affermando che: «Per un leader religioso mettere in dubbio la fede di una persona è vergognoso» e rivelando, con la sua reazione, quanto ancora sia radicato oggi un modo “privatizzato” di vivere la fede.
Infatti, in una società che dà molto valore alla libertà personale e all’autonomia, è facile perdere di vista la nostra dipendenza dagli altri, come pure le responsabilità che noi abbiamo nei loro confronti. Questa accentuazione dell’individualismo ha influenzato persino la Chiesa (cf. Spe salvi, 13-15), dando origine ad una forma di pietà che talvolta sottolinea il nostro rapporto privato con Dio a scapito della chiamata ad esser membri di una comunità redenta, in quanto siamo creati come esseri sociali che trovano compimento soltanto nell’amore verso Dio e verso il prossimo.
In occasione del suo viaggio apostolico negli Stati Uniti del 2008, a questo proposito, Benedetto XVI osservava: «È forse coerente professare la nostra fede in chiesa alla domenica e poi, lungo la settimana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche contrarie a tale fede? È forse coerente per cattolici praticanti ignorare o sfruttare i poveri e gli emarginati, promuovere comportamenti sessuali contrari all’insegnamento morale cattolico, o adottare posizioni che contraddicono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale? Occorre resistere ad ogni tendenza a considerare la religione come un fatto privato. Solo quando la fede permea ogni aspetto della vita, i cristiani diventano davvero aperti alla potenza trasformatrice del Vangelo».
Riguardo al primo aspetto egli ricordava che l’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Dio. Quando nulla al di là dell’individuo è riconosciuto come definitivo, il criterio ultimo di giudizio diventa l’io e la soddisfazione dei desideri immediati dell’individuo. Le conseguenze di tutto questo sono visibili in una certa timidezza, oggi, di fronte alla categoria del bene e in un’inconsulta caccia di novità come realizzazione della libertà che, in assenza della verità, conduce inevitabilmente a dare indiscriminatamente valore a tutto, falso o ingiusto che sia, sfociando nel relativismo.
La privatizzazione della fede, poi, porta con sé il rischio che la religione, pure quando è seriamente vissuta sul piano individuale, non diventi cultura e non incida sulla società. Sottilmente si riduce la fede ad accettazione passiva che certe cose sono vere, ma senza rilevanza pratica per la vita quotidiana. Il risultato è una crescente separazione della fede dalla vita che conduce a vivere “come se Dio non esistesse”.
Infine, la separazione dei credenti e della fede dalla cultura, incontra il movimento del laicismo che cerca di escludere la religione dalla vita pubblica, lasciando spazio solo al relativismo. Tale visione ideologica conduce ad eguagliare verità e conoscenza e ad adottare una mentalità scientifica che, rigettando la trascendenza, nega i fondamenti della fede, rigetta la necessità di una visione morale e l’esistenza di una legge naturale.
Però la negazione di una legge naturale, comunque iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà, impedisce la definizione ed il conseguimento del bene comune. Infatti il richiamo alla giustizia procedurale e al consenso democratico non consentono il conseguimento del bene comune, che non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti.
Senza considerare che è paradossale che, mentre si concede diritto di cittadinanza a ogni ideologia, venga negato il proprio ruolo nel dibattito sul bene comune soltanto alle religioni. È questa una forma di violazione della libertà religiosa, che non è soltanto libertà di culto ma è anche libertà dei credenti di offrire la loro fede come fondamento dei principi morali che reggono la società. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, poi, essa ha un “corpo” dentro la storia e una sua dottrina sociale per far luce sul mondo (Crepaldi, 2016), il cui bisogno, purtroppo, è evidente a tutti.