di Francesco Vermigli • Nella lingua italiana “estremo” ha un duplice significato: in senso cronologico o spaziale indica il termine ultimissimo di qualcosa (come nella formula in extremis o in estremo Oriente), in senso figurato equivale a grandissimo (come nella formula in estrema necessità o nel proverbio a mali estremi estremi rimedi). Non sapremmo a quale dei due significati ascrivere l’uso che della parola fa il cardinal Biffi, nel titolo («Estremo invito al cristocentrismo») della lunga introduzione ad un suo recente libro. Certo essa – soprattutto perché accostata ad un termine densissimo come “cristocentrismo” – fin da subito ci è parsa la parola-chiave per poter interpretare in maniera corretta questo piccolo gioiello di teologia sistematica che è: Il discorso breve. La fede in Cristo, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2014, pp. 256 (Anagogia, 4).
È questo estremo invito al riconoscimento della centralità del Cristo che dà il tono all’intero libro. Si direbbe essere il principio formale dell’opera, per usare un linguaggio scolastico; del resto il libro ha il carattere di una piccola summa della teologia cattolica, a metà tra una didascalica presentazione della dottrina e uno sguardo penetrante lanciato sui singoli punti del mistero cristiano. In questo, il Biffi si fa espressione sagace di quella “scuola milanese” che nel cristocentrismo ha rintracciato l’arco di volta della possibilità di parlare di Dio e dell’uomo nel mistero di Dio; senza indulgere – grazie al cielo – all’ermetismo di tanti odierni epigoni di quella scuola. Se ci chiedessimo cosa significhi la parola “cristocentrismo”, si direbbe che con essa si intende il portare alle (estreme) conseguenze teologiche la fede, secondo la quale non c’è alcun possibile accesso al Dio vivo e vero se non in Cristo, eterna immagine di Dio che ha preso carne. Non solo: significa anche vedere in Cristo il destino dell’uomo e la storia dell’intero cosmo fino alla consumazione dei secoli. Perché Cristo non solo introduce il credente alla segreta vita del Dio Uno e Trino, ma anche dispiega la predestinazione in Lui stesso di tutto ciò che non è Dio. Quello che nella teologia novecentesca è passato con il nome di Grundaxiom rahneriano («la Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa») non è altro che la tematizzazione – sotto forma di assioma – della fede tradizionale, secondo la quale ciò che viene rivelato ad extra di Dio non può che corrispondere alla taxis intradivina. Il cristocentrismo di cui si nutre il libro del Biffi, ha questa stessa certezza; alla cui base vi è poi una radicalissima esigenza soteriologica: se Cristo non mi rivela ciò che Dio è in sé, Cristo non mi salva.
Questo principio formale cristologico si riversa nella struttura del libro. Dopo l’ampia introduzione di cui si è già detto, e una breve esposizione della fede cattolica, il Biffi articola la propria opera in tre grandi sezioni; in cui la prima («Il Kerygma. Il contenuto essenziale dell’annuncio») fa riferimento alla professione apostolica che il Crocifisso è il Risorto, Messia vivo e Signore della storia e dell’universo. È il preludio, da cui rampollano le altre sezioni: «La catechesi. La rassegna delle verità da credere» e «La didachè. La comprensione del disegno di Dio». Ma è l’organizzazione del materiale che stupisce e avvince: centinaia di piccoli paragrafi su temi precisi, a cui si aggiungono – nella prima e nella seconda sezione – alcune decine di domande incastonate nel discorso – quasi sul modello del catechismo di Pio X – con la funzione di tenere ferme affermazioni dottrinali fondamentali. Nella seconda sezione gli articoli di fede vengono presentati secondo lo schema del simbolo, principalmente seguendo la traccia di quello detto “apostolico”. Nella terza parte si cerca di offrire uno sguardo complessivo al materiale in precedenza presentato in maniera didascalica e piana: la trama degli argomenti si infittisce, i rimandi tra i vari ambiti della teologia aumentano, ma non viene meno il modo limpido di trattare di Dio, e dell’uomo e del cosmo alla luce di Dio. Ogni capitolo, poi, si chiude con una piccola concessione alla liturgia ambrosiana: vengono trascritti inni e prefazi di un rito nel quale come prete e poi vescovo ausiliare è cresciuto, che ha amato e a cui è tornato, dopo la rinuncia per raggiunti limiti di età alla sede di Bologna. E a mostrare l’originalità del libro, in appendice la pubblicazione di una lettera datata al 2000 di mons. Enrico Galbiati, semplicemente perché – come dichiara – essa l’ha commosso.
Non sappiamo se questo invito accorato a riconoscere in Cristo il criterio di ogni discorso di fede abbia il carattere di un grido lanciato nel deserto di un panorama teologico che tende altrove. Forse, una nuova rivitalizzazione del cristocentrismo potrebbe venire dal prossimo Convegno nazionale della Chiesa in Italia, intitolato nientemeno: In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Forse da quel convegno fiorentino si attiveranno nuovi percorsi, a partire dalla consapevolezza che in Cristo tutto il discorso su Dio e sull’uomo si è concentrato, si è abbreviato. Forse…