Teologia e sensus fidei
di Alessandro Clemenzia • È particolarmente indicativo il fatto che a distanza di cinquant’anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa, proprio nel tentativo di prendere sempre più coscienza della sua natura e della sua missione, senta il bisogno di recuperare e riaffermare il significato e il fondamento del “sensus fidei”, come sua componente essenziale e irrinunciabile. Ed è proprio di questo che l’ultimo documento della Commissione Teologica Internazionale, intitolato «Il sensus fidei nella vita della Chiesa» (Città del Vaticano, 2014), vuole farsi voce ed espressione.
Per approfondire il rapporto tra teologia e sensus fidei, è opportuno introdurre una breve explicatio terminorum, che spieghi il significato dei due lemmi in questione, prima, singolarmente presi, poi, nella loro intima correlazione.
Per quanto riguarda il sensus fidei, collegandosi a quei testi magisteriali che hanno già approfondito il tema, il presente studio si prefigge lo scopo di «chiarire e approfondire alcuni aspetti di questa nozione vitale» (p. 10). Teologicamente inteso, il sensus fidei fa riferimento tanto alla personale attitudine del singolo battezzato (sensus fidei fidelis), quanto all’istinto spirituale della Chiesa nella sua globalità (sensus fidei fidelium), che permette «di giudicare in maniera spontanea se uno specifico insegnamento o una prassi particolare sono o meno conformi al Vangelo e alla fede apostolica» (p. 43). Questo istinto, pur essendo “naturale” nell’uomo, trova nell’azione dello Spirito Santo la sua condizione di possibilità: «In quanto Spirito d’amore, che infonde l’amore nel cuore umano, lo Spirito Santo apre ai credenti la possibilità di una conoscenza più profonda e più intima di Cristo Verità, sulla base di un’unione di carità» (p. 48).
Dopo aver inquadrato il fondamento di questo tema nella Scrittura e nella Tradizione, il documento chiarisce il significato di “teologia”, ponendola in relazione al “sensus fidei”: mentre la prima viene interpretata come scientia fidei, vale a dire come «una conoscenza riflessiva dei misteri della fede, che sviluppa concetti e utilizza procedure razionali per giungere alle conclusioni» (p. 46), il secondo viene presentato più che altro come «reazione naturale, immediata e spontanea, paragonabile a un istinto vitale o a una sorta di “fiuto”» (p. 46), sempre suscitato dallo Spirito Santo.
Nel terzo capitolo, la teologia, più che essere descritta come un discorso razionale, viene presentata all’interno di un orizzonte più teologico ed ecclesiale: essa è «a servizio dell’intelligenza della fede, in seno alla conspiratio di tutti i carismi e di tutte le funzioni della Chiesa» (p. 62).
Viene individuata una duplice modalità relazionale tra teologia e sensus fidei: da un lato, i teologi dipendono dal sensus fidei, dall’altro, sono chiamati a riflettere, e soprattutto a esprimere (cf. p. 63) il sensus fidelium autentico.
Senza proseguire su questo argomento, al quale la Commissione Teologica ha dedicato due sottoparagrafi, si può sinteticamente affermare che il sensus fidelium costituisce per i teologi «un fondamento e un locus» (p. 63).
A partire da queste considerazioni, è particolarmente interessante rilevare come la teologia si muova «in seno alla cospirazione». Quest’ultima espressione è già stata utilizzata dall’Enciclica Mystici Corporis (n. 60) di Pio XII, per spiegare quel principio d’unità che garantisce l’esistenza di un “corpo morale” (quale la Chiesa), vale a dire la comune cooperazione dei molti in uno. Oltre a tale visibile (ed estrinseca) cooperazione, tale termine fa riferimento anche al principio invisibile d’unità, a quella “congiunzione” grazie alla quale si realizza una cooperazione tra le membra: lo Spirito Santo, il co-spirato dal Padre e dal Figlio.
In questa accezione la teologia è un’intelligentia fidei che scaturisce dall’azione dello Spirito Santo, lo stesso artefice del sensus fidei (che Papa Francesco, nel suo primo Angelus, ha descritto come «sapienza che dà lo Spirito Santo»).
Al di là dell’interrelazione tra i due termini, lo Spirito Santo emerge qui come origine e connessione tra sensus fidei e intelligentia fidei: si potrebbe affermare che Egli è Colui che li unisce, distinguendoli.
A questo bisogna aggiungere un altro elemento. Il sensus fidei, per la teologia, oltre ad avere con essa una comune origine che invera la relazione tra loro, è anche un locus, che potrebbe essere qui denominato experientia fidei, quale spazio umano d’esistenza “in cui” (stato in luogo) lo Pneuma divino continua a dirsi e a darsi. L’intelligentia fidei, infatti, scaturisce dall’esperienza; senza di essa non esiste teologia, neanche se quest’ultima fosse erroneamente intesa come astratta e complessa concettualizzazione di Dio, dell’uomo e del cosmo. Questo profondo legame tra la teologia e l’esperienza è frutto non soltanto del fatto che ogni teologia ha dietro di sé un teologo che si muove all’interno di un particolare contesto sociale ed ecclesiale, ma anche della consapevolezza che l’esperienza è il luogo privilegiato in cui l’uomo è raggiunto dal “Co-spirato” divino.