Mattarella, l’arbitro silente che fischia (eccome!) sulla costituzione
di Antonio Lovascio • L’arbitro deve essere autorevole in campo, oltre che saggio ed imparziale. Deve saper domare i giocatori, anche quelli più scorretti, agendo con sobrietà e soprattutto con grande capacità di ascolto. Utilizzando la quantità di risorse che il suo incarico dispone. E’ stato proprio con il suo stile pacato, di autentico signore siciliano,che Sergio Mattarella nel suo primo mese di permanenza al Quirinale ha conquistato buona parte degli italiani, riportando nei sondaggi un indice di fiducia che si avvicina al 62 per cento, scavalcando anche quello dell’”uomo nuovo”, il premier Matteo Renzi; assorbendo con un certo ironico distacco la valanga di dichiarazioni e di articoli gonfi di adulazione e di retorica. Opportunamente cerca invece di rispondere con gesti concreti (come l’apertura quotidiana al pubblico del Palazzo che è stato residenza non solo dei suoi predecessori, ma a lungo di Papi e Re; il viaggio privato a Palermo su un aero di linea o quello a Firenze in treno e poi in tranvia per partecipare all’inaugurazione della Scuola superiore di magistratura di Castelpulci ) alle riserve di quei pochi ma qualificati commentatori – tra questi l’editorialista principe del “Corriere” Ernesto Galli della Loggia – che hanno visto la sua elezione, pur avvenuta con larga maggioranza: 665 voti, caratterizzata da un segno “di separatezza, di forte lontananza dalla pubblica opinione, di scarsa notorietà”. Scorie tossiche degli ultimi venti anni di scontro politico? Scorie polemiche che fanno circolare – con malizia e arroganza nel caso di alcuni opinionisti – categorie stupide e vetuste come quella del “cattocomunismo” per disprezzare l’impegno di cattolici profondamente ispirati nella loro azione dalla Dottrina sociale della Chiesa. Certo non si può negare che Mattarella sia sempre stato nella sua militanza democristiana un uomo del dialogo, ma non del compromesso al ribasso, sempre protagonista di un’azione politica intesa come servizio alla costruzione del bene comune, quindi tesa ad unire e non a dividere.
Un “cattolico conciliare” – così lo ha definito lo storico Andrea Riccardi – che ha letto Dossetti ma anche Sturzo ed ha appreso la lezione di De Gasperi. Dunque un cattolico di sintesi, una dimensione tipica incarnata negli anni difficili della ricostruzione da Moro e Papa Montini, guida spirituale di molti politici del dopoguerra. Siamo dunque d’accordo con il fondatore della Comunità di S. Egidio quando afferma che <il nuovo presidente è un politico concreto, laico e cattolico, che sa dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare, un moroteo che vive e proietta nell’impegno politico la sua cultura giuridica e da credente. In lui si coglie anche una sapienza umana, maturata non solo nei lunghi anni al servizio dello Stato ma anche nell’esperienza di chi sa che si può pagare con la vita il servizio alla cosa pubblica, come è accaduto al fratello Piersanti ucciso dalla mafia”. Nel suo profilo, aggiungiamo noi, ci sono tutti i requisiti giustamente invocati da chi si interroga se saprà essere il presidente di tutti gli italiani, se saprà esercitare la necessaria azione di garanzia e di stimolo presso Governo e Parlamento; se soprattutto saprà aiutare a dare risposte alle vecchie e nuove povertà messe in luce dalla crisi economica, e intraprendere quel rinnovamento morale tante volte invocato anche da Napolitano nel suo supplemento di mandato. E non a caso alla sua prima uscita pubblica fiorentina il neopresidente si è fatto subito interprete di “quel bisogno di legalità avvertito nel Paese”, raccomandando ai magistrati di essere “né burocrati né protagonisti”: “devono invece saper coniugare equità e imparzialità, fornendo una risposta di giustizia tempestiva per essere efficace, assicurando effettività e qualità della giurisdizione”.
Ripercorrendo i suoi primi passi, possiamo dire che Mattarella ha bruciato le tappe. Senza mai smentire la sua naturale predilezione per le poche parole, si è rivolto ai suoi “concittadini in difficoltà” nel modo in cui chi li rappresenta deve oggi fare: con semplicità, trovando reale novità d’accenti, animando il loro senso di appartenenza alla comunità nazionale, alimentando le loro speranze. La conferma arriva dalle “Lettere “ ai giornali che accompagnano l’inizio del settennato: moltissime sono piene di sollievo e di compiacimento per la scelta di un Capo dello Stato con una storia, un’indole e uno stile come quelli che Mattarella ha saputo subito comunicare, infrangendo la sua apparente timidezza spesso votata al silenzio. Quasi che ci fosse stato “restituito” qualcosa dopo la degenerazione progressiva della cosiddetta Seconda Repubblica. E questo qualcosa è anche una certa idea della politica e della sua capacità di rappresentare la gente semplice e di meritarne la fiducia. Anche i partiti che per tatticismi – dopo la rottura con il Premier – non hanno contribuito a portare Mattarella al Colle (Forza Italia, il Movimento Cinque Stelle, se non la Lega populista di Matteo Salvini) forse si stanno rendendo conto che la personalità del nuovo inquilino domina sulle supposte modalità di elezione, anche se ormai è fin troppo evidente che Berlusconi avrebbe voluto ascriversi il successo dell’operazione-Quirinale puntando su Giuliano Amato. Forse presto scenderanno dall’Aventino per ritornare a confrontarsi alle Camere sulle riforme istituzionali, finora votate dai Forzisti insieme al Pd in omaggio al (ripudiato) Patto del Nazareno. Il nuovo Capo dello Stato – dimostrando ai suoi interlocutori di tifare per il gioco senza per questo venir meno al proprio ruolo – si è assunto il compito di una non facile mediazione, perché è consapevole del fatto che un Parlamento sostanzialmente dimezzato, privo della presenza indispensabile dell’opposizione, non può che suscitare una sensazione di disagio. Di “mutilazione” e allarme. Soprattutto se le questioni di cui si discute sono vitali in un qualsiasi sistema democratico. Cambiare la Costituzione senza coinvolgere almeno una parte della minoranza, espone il sistema nel suo complesso ad un pessimo precedente: quello di poter cambiare in solitudine le regole fondamentali della convivenza civile. Un’arma formidabile e terribile, se messa nelle mani di una eventuale futura maggioranza con profili non rassicuranti, come purtroppo è già accaduto in Italia.
Da giurista raffinato che, dopo aver fatto più volte il Ministro, si è esercitato nel difficile ruolo di giudice della Consulta, Mattarella sa benissimo cosa sia la Carta sulla quale si è fondato il nostro Stato. Sa benissimo che la miglior garanzia è la sua applicazione. Ha ben presente la storica definizione di Piero Calamandrei, più volte richiamata in questi giorni: <La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è spesso una malattia dei giovani> .
Ed è soprattutto ai giovani che sono rivolte le preoccupazioni di Mattarella. Il “combustibile” che intende versare nella sua “bussola quirinalizia” lo ha indicato nel discorso di insediamento, delineando con pennellate efficaci quello che è per la gente il volto della Repubblica, che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. <Mi auguro – ha scandito solennemente – che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. I volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti. Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto. Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa e quello di chi continua a investire nonostante la crisi. Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri; di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto>.
Questo è il “Nuovo Umanesimo” di Sergio Mattarella. Il dodicesimo Capo dello Stato (da un “pulpito laico” in piena sintonia con le predicazioni di Papa Francesco, anche se il nuovo corso vaticano ridimensiona il ruolo politico che la Cei aveva acquisito dentro il bipolarismo negli ultimi venti anni) si è riferito esplicitamente a storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose. Insomma i suoi “cittadini”, ai quali guarda quotidianamente pur sapendo che non bisogna rinchiudersi negli egoismi, ma occorre essere attenti anche a quello che succede oltre i nostri confini, all’Europa che cincischia, alla globalizzazione che purtroppo vede proliferare terrorismo e guerre, alcune delle quali ci toccano e minacciano da vicino.