Teologhe, musulmane, femministe. Attualità di un libro di Jolanda Guardi e Renata Bedendo

332 481 Gianni Cioli
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Jolanda-Guardidi Gianni Cioli • Jolanda Guardi, docente di lingua e traduzione araba e Renata Bedendo, teologa e arabista hanno firmato insieme nel 2009 il libro Teologhe, musulmane, femmininiste (Prefazione di P. Toia, (Sui generis 5), Effetà editrice, Cantalupa, Torino).

Si tratta di un testo che affronta, specificamente sotto l’angolatura dell’interesse teologico, un tema di grande attualità. In effetti, come è stato rilevato: «sono sempre più numerose le donne che, nei paesi islamici e non solo, considerano il Corano come uno dei principali strumenti per rivendicare l’uguaglianza di genere. Convinte che l’islam sia portatore di un inequivocabile messaggio di giustizia, rileggono i testi sacri (…) da una prospettiva femminile, enfatizzando gli elementi di uguaglianza e additando come interpretazioni erronee e patriarcali quelle letture che considerano gli uomini superiori alle donne. Diverse per età, classe, professione, collocazione geografica, queste donne, che siano studiose dei testi sacri, attiviste per i diritti delle donne, o semplici credenti, sono accomunate dal proporre esegesi alternative (…) del Corano. Ciò avviene sia in contesti in cui l’islam è minoritario, come i paesi occidentali – dove, in seguito a migrazioni e a conversioni, la presenza musulmana è però in crescita – sia in quelli dove è la religione maggioritaria, o addirittura ufficiale» (R. Pepicelli, «Islam femminista. Riletture del Corano in una galassia plurale», in Il Manifesto 9 gennaio 2011, 11). La notevole attualità del discorso è testimoniata anche da altre pubblicazioni che, da molteplici angolature e con differenti spessori, hanno affrontato la questione.

L’accostamento dei due termini ‘musulmane’ e ‘femministe’ può sorprendere il lettore condizionato dai luoghi comuni, ma, come sottolinea Patrizia Toia nella prefazione, «è errore avvicinarsi all’Islam considerando questo mondo come un blocco unico, un monolito granitico, compatto e senza sfaccettature. (…) Non è (…) corretto, per esempio, parlare genericamente di ‘donna islamica’; così come è impossibile parlare genericamente di ‘donna cristiana’, se consideriamo le differenti modalità con cui si vive la femminilità all’interno della cultura occidentale, segnata storicamente dalla forte impronta del cristianesimo. Allo stesso modo non tutte le donne islamiche sono costrette, per fortuna, a indossare il burqah o il chador» (p. 5).

Il libro è strutturato in cinque capitoli, i primi tre a firma di Guardi, gli ultimi due di Bedendo. Il primo (Perché una teologia musulmana femminista), dopo un inquadramento generale, affronta la questione dell’esegesi coranica e illustra le problematiche connesse all’interpretazione del testo focalizzando i «nodi centrali che deve affrontare l’ermeneutica» (p. 9). Propone esempi d’interpretazione al contempo tradizionale e moderna, e ritiene possibile una lotta delle donne per l’indipendenza sulla base dell’esegesi del Corano, «contrariamente a quanto credono i musulmani conservatori (perché ne hanno dato una lettura patriarcale) e quelli progressisti (perché ritengono ci si debba distaccare dal testo per andare verso svariate sfumature di laicità)» (p. 36). Il secondo capitolo (Teologhe musulmane femministe), presenta alcune delle figure di spicco della teologia femminista musulmana: Asma Barlas, Amina Wadud, Nimat Hafez Branzangi, Haziza al-Hibri, Ghazala Anwar, Asma Lamrabet. «Scopo di questi profili è quello di mostrare come le rappresentanti della teologia femminista musulmana abbiano elementi comuni di pensiero, ma anche come ciascuna interpreti questa base comune secondo la propria formazione e le proprie specificità» (pp. 9-10).

Il terzo capitolo (I temi della teologia femminista musulmana) propone la rilettura di due figure femminili del Corano – Eva e Zuliha – per fornire un esempio di ermeneutica femminista del testo sacro. «La scelta dei personaggi da trattare è stata operata privilegiando due figure che potessero interessare anche un pubblico occidentale e che, anche nella trattazione teologica classica, sono da sempre state oggetto di attenzione». Il quarto capitolo (In Italia) «si interroga sulla situazione italiana, evidenziando come nel nostro paese il discorso femminista musulmano sia ancora poco noto e la discussione verta ancora su temi generali. Attraverso l’analisi di due recenti discorsi di rappresentanti italiane (…) vengono messi in evidenza alcuni filoni specifici marenatabed anche punti di contatto con la teologia femminista cattolica». Il quinto capitolo (Le interviste) riporta, infine, le conversazioni con alcune esponenti del movimento sui temi trattati. Tutte recenti, le interviste «sono utili per comprendere in quale direzione si stia muovendo la teologia musulmana femminista e, come la lettrice e il lettore potranno facilmente notare, presentano un ventaglio di posizioni estremamente variegato». Concludono il libro un utile glossario e un’ampia e articolata biografia che, come hanno voluto sottolineare le autrici, «oltre a segnalare quanto effettivamente consultato per la realizzazione del (…) volume, si è configurata in corso di redazione come un utile strumento per monitorare lo stato degli studi in questo campo» (p. 10).

Si tratta di un libro stimolante, agile ma al contempo esigente con il lettore occidentale chiamato a misurarsi con un orizzonte inconsueto come quello dell’esegesi coranica. La relativa brevità dei capitoli e notevole varietà dei generi che compongono il libro, che spazia dalla divulgazione teologica, al profilo biografico, all’intervista, può creare l’impressione non gradevole d’una eccessiva disomogeneità, ma può anche, al contrario, stimolare una lettura che non risulterà noiosa pur nella trattazione di tematiche impegnative.

D’altra parte, come sottolinea ancora Patrizia Toia nella prefazione, il dibattito in corso merita attenzione nell’attuale contesto europeo anche perché l’Islam è una realtà assai vicina a noi per la presenza sempre in aumento di immigrati di religione musulmana. «Un fenomeno destinato a crescere nel tempo, da affrontare nel segno del rispetto per chi è portatore di una fede diversa dalla nostra e nel segno di un’attitudine forte alla conoscenza e al dialogo». Conoscere gli altri, al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni, è importante per poter dialogare: «soltanto in questo modo si possono abbattere tanti pregiudizi che condizionano i rapporti interpersonali e si possono vincere diffidenza e indifferenza» (p. 6).

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