Il Diritto Canonico come “regola pastorale”

218 218 Francesco Romano
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concilioslidedi Francesco Romano • Il ventennio di gestazione del Codex dopo il Concilio Vaticano II è stato un tempo fecondo grazie alle aperture che ha recepito. Gli insegnamenti del Concilio e i suoi principi ispiratori hanno trovato formulazione nella norma codiciale. Il diritto canonico si giustifica come strumento di servizio alla vita personale e sociale e all’attività pastorale della Chiesa.

Il superamento voluto dal Concilio della nozione di Chiesa come societas inequalis, riflette anche nel Codex la novità introdotta dal binomio communio-sacramentum. Il corpo ecclesiale si fonda e si articola sul modello fontale che è il Corpo eucaristico di Cristo, “la comunione del Corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica, l’intima comunione di tutti i fedeli nel Corpo di Cristo che è la Chiesa (1Cor 10, 16)”. Questa nuova relazione comunionale determina i diritti e i doveri fondamentali di ogni fedele che lo coinvolge a pieno titolo nelle relazioni che interagiscono all’interno del Corpo di Cristo del quale viene a far parte per la sua nuova condizione ontologica. Non deve sfuggire la grande novità introdotta nel Codex 1983 che estende a tutti i fedeli laici la possibilità di cooperare con i pastori (can. 129 §2) secondo i propri carismi nell’edificazione del Corpo di Cristo. Novità significativa, questa, quale espressione immediata della riconosciuta radicale uguaglianza, non per mera concessione, ma per la partecipazione ai munera di Cristo che scaturisce dal sacramento del battesimo.

L’aspetto sacramentale pone l’accento sulla Chiesa come evento di grazia. Nel binomio communio-sacramentum il nuovo Codex trova il proprio ambito di partecipazione alla missione salvifica della Chiesa. La salus animarum assurge nella Chiesa a suprema lex (can. 1752). Il diritto canonico, disse Paolo VI nel discorso del 1973 alla Sacra Rota, deve valere come “regola pastorale” che ha il fondamento in Cristo e deve rivelare l’immagine di Cristo ed essere carità operante e servizio alla carità. Il diritto non si oppone alla carità, ma la carità, opera dello Spirito, dà suggerimenti al diritto e vuole il diritto, come ebbe a dire Giovanni Paolo II nel discorso ai partecipanti al IV Congresso di Diritto Canonico a Friburgo. Un munus pastorale come mediazione che rende operativa la legge suprema della carità fino ai limiti delle possibilità umane espresse in Mt 5, 44 “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”.

Il nuovo ordinamento canonico mette in luce anche la diaconia iuris, non una visione giuridica della pastorale, bensì una visione pastorale del diritto, in quanto “non si dà azione pastorale veramente efficace che non trovi fermo presidio nell’ordinamento dei sapienti statuti”.

L’azione comune per l’edificazione del Corpo di Cristo nel nuovo Codex è emanazione del principio di radicale uguaglianza mutuato dal Concilio operando quella reductio ad unum dove l’unità della missione nella diversità dei ministeri edifica la Chiesa anche attraverso il contributo del laicato in comunione con i pastori.

Oltre allo specifico del pastorale munus espresso al can. 1008 nella triplice formula del sacrare, docere, regere per l’effetto del sacramento dell’ordine, il Codex estende l’accezione di pastoralità in forza della consacrazione battesimale ai fedeli laici “resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo” (can. 204 §1). Quindi, fino a un certo punto, l’apostolato dei laici e il ministero pastorale possono completarsi a vicenda.

La prospettiva comunionale del Codex, riguardo alla vita e alla missione della Chiesa, si evince anche dalla distribuzione della sua materia secondo lo schema della Lumen gentium. Il popolo di Dio viene descritto a iniziare dal basso: tutti i fedeli in genere, i fedeli laici, i fedeli chierici, la costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti di vita consacrata.

L’uguaglianza nel popolo di Dio, pur superando lo schema piramidale del passato, neppure si riconosce in una struttura ridotta a schema circolare. La complessa articolazione delle componenti all’interno del popolo di Dio esclude una struttura piramidale stratificata come pure l’appiattimento su una forzata uniformità. Le differenziazioni personali e funzionali interagiscono tra loro e concorrono nel rendere “pastorale” tutta l’esistenza cristiana. La natura comunionale del cristiano, reso partecipe della comunione trinitaria, esige relazioni comunionali all’interno del popolo di Dio. Il sacerdozio ministeriale, fondato sul sacramento dell’ordine, non è una posizione di privilegio da conquistare o da difendere, bensì una potestas sacra di origine divina a servizio della crescita della grazia battesimale da cui ha origine il sacerdozio comune di tutti i fedeli.

Anche i ministri sacri come tutti i fedeli in riferimento alla loro vita spirituale sono soggetto passivo della specifica funzione di santificare, insegnare e governare esercitata da altri ministri sacri, tutti associati nella comune responsabilità ecclesiale e nella reciproca edificazione.

Infine, il Codex 1983, riflettendo la sistematica del Concilio Vaticano II, ha messo in risalto la struttura sacramentale della Chiesa. Anche la sua natura comunionale, che si realizza nella funzione gerarchica e nella ministerialità di tutto il popolo di Dio, ha trovato una più completa espressione nel significato di “partecipazione”. La diversità dei compiti e dei carismi esclude la superiorità degli uni sugli altri. Solo la carità è l’unico carisma che sorpassa tutti gli altri, dono che Dio elargisce a tutti copiosamente.

La nuova mentalità introdotta dal Concilio, ovvero una mens che, ponendo al centro la cura pastorale e le nuove necessità del popolo di Dio, trova e deve continuare a trovare nel Codex lo strumento di attuazione secondo la stessa mens che ne ha ispirato e guidato la sua riforma: “ius canonicum accomodari debet novo mentis habitui” come ebbe a dire Paolo VI.

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Francesco Romano

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