di Carlo Parenti • Dio ha un sogno su ogni uomo. L’uomo può scrutare e scoprire questo sogno cercando i verbi di Dio e guardando i miracoli di Gesù. Essi rappresentano infatti per Martini «il sogno di un altro mondo, del regno di Dio, di un altro modo di essere nel quale noi viviamo la dimensione del già e non ancora (…) Il sogno di Dio è lì dove non c’è paura, non c’è ansietà, non c’è senso di terrore per forze sconosciute che minacciano l’uomo, ma c’è pace, fiducia, abbandono».
Nel 2007, il cardinale Carlo Maria Martini risiedeva stabilmente in Terra Santa -dove aveva scelto di ritirarsi nel 2002 a conclusione della sua esperienza di vescovo di Milano- e spesso vi accoglieva gruppi di pellegrini. In quell’anno Martini predicò ad un gruppo di sacerdoti milanesi anziani un corso di esercizi spirituali nella località di Kiryat Yearim, in Israele. Il cardinale aveva 80 anni mentre i presbiteri erano stati ordinati ben 45 anni prima.
Il testo di tali esercizi, totalmente inediti, è in libreria: «I verbi di Dio»- Con riflessioni sui miracoli di Gesù e sul sogno di un’esistenza alternativa. Edizioni Terra Santa,pp.144, € 14.
il libro, ultimo scritto del cardinale prima del rientro in Italia per l’aggravarsi della malattia, costituisce un prezioso breviario esistenziale. Martini –come ha ben osservato Marco Garzonio sul Corriere della Sera- era uno dei pochi che poteva permettersi di parlare dei «sogni di Dio». Dopo di lui lo sta facendo papa Francesco. Entrambi hanno per riferimento la progettualità del Creatore («Dio vuole un mondo abitabile, ordinato, vivibile») e la responsabilità dell’uomo («Noi distruggiamo la natura senza pensare che Dio vuole che questo mondo possa essere abitato ancora per lungo tempo», dice Martini anticipando l’ecologista Francesco).
Essenziale e diretto, Martini traccia un affresco del desiderio di Dio e della ricerca dell’uomo come suo interlocutore, descrivendo l’azione divina attraverso sei verbi principali: creare, promettere, liberare, comandare, provvedere e amare. Lo schema classico degli “esercizi” ignaziani, arricchito dalle indicazioni per la disposizione alla preghiera personale e al commento ai brani biblici sapientemente bilanciato tra Antico e Nuovo testamento, portano il lettore ad affrontare una domanda cruciale: com’è possibile che tutto ciò che è amore nella vita degli uomini venga assunto nell’amore di Dio? Cosa c’entra Dio con la mia vita?
I testi di riferimento sono soprattutto Gn 12, 1-3 e 22, 1-19; Es 3, 15, 20; Dt 8; Ne 9; Is 45, 1-19; alcuni miracoli (Pietro che cammina sulle acque, la tempesta sedata, la moltiplicazione dei pani, la risurrezione del figlio della vedova di Nain, la guarigione dell’indemoniato, ecc.).
Mi sia consentita qualche citazione di questo bel volume che dà pace e richiama l’uomo alla sua responsabilità.
Ragazzi niente paura della vita, rischiate: Dio si sporge, perde l’equilibrio, si compromette, si mette dalla nostra parte, però anche noi siamo chiamati a sporgerci. La vita umana è rischio. Ricordo i ragazzi che partecipavano all’ itinerario vocazionale nel Gruppo Samuele: ragazzi bravissimi, aperti a 360 gradi alla volontà di Dio, eppure raramente si decidevano per una scelta definitiva, perché pretendevano la sicurezza che fosse la scelta giusta. Dicevo loro che chi non rischia mai di scegliere, va avanti facendo esperienze di volontariato, una volta in America Latina, un’altra in Africa… e non conclude nulla. Perché la vita bisogna rischiarla definitivamente: è il rischio del matrimonio, è il rischio della vita consacrata, della vita presbiterale. Dio rischia per noi, per insegnarci a rischiare per lui. Come dice Gesù: chi non perde la propria vita non la troverà, chi guadagna la propria vita la perderà per la vita eterna (cfr.Mt 10,39 e paralleli). Bisogna saper far gettito della propria vita per trovarla. C’ è una profonda verità evangelica in questo appello alla speranza. Anche la nostra vita è uno sporgersi, è un rischiare, un andare oltre il limite. Chi vuole restare sempre nel limite sicuro non esce mai da se stesso, non dà fiducia a un altro, e quindi non si sposa, non fa una scelta, è come il chicco di frumento che non muore e rimane solo (cfr.Gv 12,24).
La forza della speranza Quello della speranza è un forte stimolo per la nostra esistenza. Non siamo chiamati a sperare solo perché c’è la morte, ma siamo chiamati a vivere di speranza. Paolo ha a questo proposito dei tratti bellissimi. Possiamo leggere, per esempio, Romani 4,18 25: parole chiarissime che indicano cosa rappresentassero la fede e la speranza per Abramo, e cosa siano per noi. L’ applicazione più precisa al cristiano è fatta nella stessa lettera ai Romani al cap. 8: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”… Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (vv.15.24 25). La vita del cristiano è vita di speranza di ciò che non si vede, e quindi di fiducia in Dio che, avendo promesso, manterrà. E non c’ è scampo da questo; anzi, lo si vive con fiducia di figlio e quindi con gioia.
Il senso della morte: Durante la vita mi sono spesso lamentato con il Signore: tu che hai provato la durezza della morte, perché non ci hai liberato da questa necessità? Bastava la tua morte, e concedere così a noi di essere sciolti dal dovere di morire. E poi, a poco a poco, ho capito che, effettivamente, se non ci fosse la morte non saremmo mai costretti a fare un atto di pieno abbandono a Dio; avremmo sempre un’uscita di sicurezza, una garanzia. Invece la morte è affidarsi a Dio ciecamente, andando là dove egli ci porterà, senza sapere bene dove. Perché noi ignoriamo quasi tutto di ciò che ci attende.