di Giovanni Campanella • Il 27 aprile 2017, all’interno della collana “Il mestiere della pedagogia”, la casa editrice Franco Angeli ha pubblicato un piccolo libretto, che raccoglie contributi di vari studiosi nei campi della psicologia, della pedagogia e della sociologia. L’opera si intitola Educare alla consapevolezza economica – Proposte multidisciplinari per la promozione del benessere ed è curata da Monica Parricchi, ricercatrice in Pedagogia generale alla Libera Università di Bolzano.
Già dal titolo si scorge il legame tra due elementi: la consapevolezza economica e il benessere. Si sa però che il termine benessere non è univoco. Il primo contributo, proprio di Parricchi, si occupa di passare in rassegna varie definizioni, associandole poi a percorsi educativi attinenti. Sappiamo che il denaro non fa in sé la felicità dell’uomo. La disponibilità di beni non è condizione sufficiente per il benessere. Fin dall’antichità, esperienza e pensiero ce lo hanno dimostrato. Né però si può negare che la possibilità di avere beni e servizi sia condizione necessaria per vivere decentemente. Tale possibilità, se non asservita unicamente all’accumulo di ulteriori averi, permette di raggiungere una certa soglia di benessere soprattutto se posta al servizio alla relazione con l’altro.
«Nella concezione comune il benessere è generalmente associato al denaro solo in termini di possesso: a monte, quale pre-condizione per la realizzazione di uno stato di “ben”. Ma occorre anche pensare alla capacità di gestione del denaro come “investimento per la persona”, come un elemento da considerare per la costruzione del benessere attraverso riflessioni e formazione di competenze idonee» (p. 23).
Nel secondo contributo, sempre di Parricchi, sono raccolti risultati di vari sondaggi. Un paragrafo tratta dell’educazione economica e finanziaria (EEF) in famiglia. Il tema delle spese è maggiormente condiviso con i figli mentre quello delle entrate è condiviso più raramente e solo quando i figli hanno raggiunto la maggiore età. Rarissimamente si parla del capitale della famiglia in banca e/o investito.
«I genitori, nel guidare l’educazione economica dei figli, adottano diverse modalità di erogazione del denaro. Le più frequenti sono: i contributi regolari (“paghetta”), i contributi irregolari (o “su richiesta”), i contributi per pagare dei servizi domestici (es: sparecchiare la tavola, pulire la propria camera, fare la spesa) e i contributi come premi per il buon rendimento scolastico. Al questionario i genitori rispondono che “una volta alla settimana” è la soluzione migliore mentre studenti, docenti e universitari (i genitori come seconda possibilità) ritengono che il “dare soldi ai figli” sia legato al bisogno di spesa. Vi è quindi una predominanza della modalità “saltuaria su richiesta” o on-demand (corrispondente alla risposta “quando ne ho/hanno bisogno”). Alcuni studi degli anni ’90 confermano l’ipotesi che la paghetta regolare guidi il bambino ad acquisire migliori competenze economiche in termini di conoscenza dei prezzi e capacità di auto-controllo rispetto agli acquisti di impulso. Studi più recenti indicano come, più che la paghetta, è importante il livello di responsabilizzazione e autonomia che i genitori delegano ai figli durante la loro crescita (non solo autonomia nella spesa ma anche nel controllo del denaro, unita a una maggiore partecipazione nelle decisioni economiche familiari)» (p.36).
I due ultimi piccoli saggi, rispettivamente di Monica Rivelli (Ufficio Programmi educazione finanziaria, Fondazione per l’EDUcazione Finanziaria e al Risparmio: FEDUF) e di Maria Rosaria Capuano (Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia), illustrano iniziative implementate in scuole e presso consumatori negli ultimi anni da vari enti e associazioni nell’ambito dell’educazione economica e finanziaria.
Tutto l’argomento trattato dal libro è indubbiamente assai originale e di grande interesse. Tuttavia, il pedagogista cristiano potrebbe subodorare qualche rischio. Nulla togliendo al valore delle idee esposte, il cristiano dovrebbe comunque tendere a mantenere il baricentro della strategia educativa più sul “saper essere” che sul “saper fare”, quest’ultimo molto importante ma da orientare, ordinare e sviluppare a partire dal primo.