Tra modernità e postmodernità
più alcuna istanza che li difenda. Diventano patrimonio comune dal quale ciascuno prende ciò che più gli aggrada, senza che ci sia un’istanza responsabile della sua unità e consistenza» (H.Lubbe, La secolarizzazione, Società editrice il Mulino, Bologna, 1970, 10-11).
J. Derridà, Gli spettri di Marx, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994, 36)
Fides et Ratio 91). In questo senso il rischio di liquidare facilmente la parola «modernità», con una più accattivante e funzionale espressione, che si lascia alle spalle la prima con tutta la sua carica problematica, manifesta il più profondo rifiuto di prender coscienza e fare intimamente i conti con cosa realmente sia «modernità».
post, ultimamente squalificante la modernità: una squalifica che non rende onore alla modernità stessa, rischiando di risparmiarci il complesso compito della sua decifrazione, dei suoi frutti, delle sue aspirazioni. Se Lyotard o Bauman, parlando di postmodernità si trovano ogni volta risospinti ad una più profonda comprensione di cosa sia effettivamente modernità, oggi l’uso piuttosto “leggero” del termine «postmoderno» (pensiamo ai media) somiglia spesso ad un voler voltare pagina, per trovare quello spazio in cui potersi ricostruire un’identità finalmente liberata dalle contraddizioni di un’epoca (quasi non avvertendo i toni drammatici che accompagnano la genesi del concetto «postmodernità»).
una versione della modernità. Il cristianesimo ha il compito di riconoscere e liberare il meglio delle istanze socio-culturali di questa nostra contemporaneità, assumendo ogni volta l’Incarnazione come l’unico autentico principio di novità nella storia. L’invito della Prima Lettera ai Tessalonicesi, «Vagliate tutto e trattenete il valore/il bello» (1Ts 5,21), non sarebbe innanzitutto l’invito a “mettere ordine” nella cultura e nel contesto in cui i credenti erano immersi, quanto un invito a che “l’immersione” sia totale e radicale, un rapporto col reale senza preclusioni, ricerca inesausta, in tutto, del bello e del vero, nella certezza che «la realtà è di Cristo» (Col 2, 17).