“Iuvenescit Ecclesia”: alcuni spunti teologici
di Alessandro Clemenzia • Iuvenescit Ecclesia, la Chiesa ringiovanisce: questo è il titolo dell’ultima Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici nella vita ecclesiale. Non si tratta di un’esortazione moraleggiante, che invita la Chiesa a ringiovanire rispetto ad una situazione di sterilità contemporanea, ma è un indicativo presente che, proprio in quanto tale, è indice di un dinamismo reale e quotidiano che sta avvenendo nel momento stesso in cui se ne parla. E questo apre ad un’altra considerazione: il punto di partenza del discorso, infatti, non è propriamente teoretico, ma è legato all’esperienza della Chiesa, da cui si muovono le odierne riflessioni: «Grazie alla stessa vita della Chiesa, ai numerosi interventi del Magistero e alla ricerca teologica, è felicemente cresciuta la consapevolezza della multiforme azione dello Spirito Santo nella Chiesa».
Questa citazione è decisiva, non soltanto perché indirizza l’attenzione da un piano meramente concettuale e speculativo ad uno meramente esistenziale, ma anche in quanto spiega teologicamente come si possa passare da una riflessione che scaturisce da uno sguardo sulla realtà ad un discorso che riguarda l’azione dello Spirito di Dio nella storia attraverso i Suoi doni. Lo Spirito Santo, infatti, al contrario delle altre due Persone della Trinità, è una presenza che l’uomo può cogliere anche attraverso l’uso dei sensi, ma a partire dagli effetti che Essa produce. Dalla Scrittura emerge come ci siano stati dei testimoni che hanno fatto diretta esperienza di Cristo, tanto da annunciare ciò che si è udito, veduto, contemplato e toccato con le proprie mani (cf. 1Gv 1,1): attività che manifestano la concretezza dell’incarnazione del Verbo divino. Anche per lo Spirito Santo può valere un discorso analogo: «Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano» (At 2,2). La discesa del Pneuma viene descritta da Luca come un avvenimento percepibile attraverso l’uso dei sensi, e la visibilità dello Spirito appare soprattutto là dove si intravedono i suoi diversi effetti (in quelli che Paolo, in Gal 5,22-26, menziona come il «frutto dello Spirito»).
A partire, dunque, dal fiorire e dal ringiovanire della Chiesa, sulla scia di quanto afferma la Lumen Gentium a proposito della distinzione e unità fra doni gerarchici e doni carismatici, la Lettera Iuvenescit Ecclesia illustra chiaramente come entrambi i doni trovino la loro condizione di possibilità e la spiegazione del loro reciproco rapporto all’interno di quella mutua relazione tra il Verbo incarnato e lo Spirito Santo.
Dopo un’attenta spiegazione teologica, la conclusione a cui si arriva è di straordinaria importanza: «La relazione tra i doni carismatici e la struttura sacramentale ecclesiale conferma la co-essenzialità tra i doni gerarchici – di per sé stabili, permanenti ed irrevocabili – e i doni carismatici. Benché questi ultimi nelle loro forme storiche non siano mai garantiti per sempre, la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita ed alla missione della Chiesa».
Il termine “co-essenzialità” è stato ripreso da un celebre messaggio di Giovanni Paolo II inviato ai partecipanti al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali (1998), e vuole esprimere sia il valore della dimensione istituzionale e di quella carismatica, sia l’articolazione del rapporto fra loro. Anche se non viene menzionata questa parola-chiave, un altro discorso magistrale, che a mio avviso fa da sfondo logico all’intera Lettera Iuvenescit Ecclesia e funge da bussola della sua argomentazione teologica, è quello del Cardinale Ratzinger in occasione del già citato incontro mondiale dei Movimenti ecclesiali nel 1998: in modo teologicamente raffinato l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha legato le diverse aggregazioni ecclesiali e movimenti, espressioni dei doni carismatici, alla dimensione apostolica della Chiesa, e dunque a una delle sue quattro note essenziali, insieme all’essere una, santa e cattolica. Una caratteristica fondamentale che Ratzinger attribuisce all’apostolicità è la sua tensione all’universalità della Chiesa: «Gli apostoli erano non vescovi di determinate chiese locali, bensì, appunto, “apostoli” e, in quanto tali, destinati al mondo intero e all’intera Chiesa da costruirvi. […] Quello apostolico è un ministero universale, rivolto all’umanità intera, e pertanto all’intera unica Chiesa. Dall’attività missionaria degli apostoli nascono le chiese locali, le quali hanno bisogno di responsabili che le guidino».
Anche se la Lettera Iuvenescit Ecclesia non fa esplicito riferimento a questo discorso di Ratzinger, si può affermare che probabilmente è proprio all’interno di questo “impianto” apostolico che i doni carismatici possono recuperare, da un lato, la loro essenzialità nella Chiesa (e da qui si può parlare di co-essenzialità in relazione ai doni gerarchici), dall’altro, quella tensione universale e spinta missionaria che innervano e caratterizzano quelle realtà ecclesiali, frutto di quello Spirito che costantemente ringiovanisce la Sua Chiesa.