di Stefano Liccioli • S’intitola “Incontrare Gesù” l’ultima lettera pastorale scritta dall’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori. E’ interessante osservare che la lettera non è incentrata su qualche tema o progetto pastorale specifico, ma va alle radici dell’esperienza di fede, a quel rapporto con Cristo senza il quale ogni progetto pastorale rischia di perdere di significato perché «è solo nel confronto con Lui – precisa il Cardinal Betori nella premessa – che possiamo scoprire la verità su noi stessi. E di questa verità abbiamo estremo bisogno, per uscire dalle finzioni con cui ci nascondiamo a noi stessi e agli altri, come pure per sfuggire ai modelli che altri ci vorrebbero imporre».
Il prelato indica anche la strada d’accesso a Gesù: la testimonianza che ce ne dà la Chiesa, quella testimonianza che ha al suo centro il Vangelo e i vangeli. Si tratta di una testimonianza che non è meno credibile perchè avvolta dalla fede in Cristo, «proprio perché chi ci parla di lui ne è innamorato, possiamo fidarci», osserva Betori.
Il riferimento costante e puntuale ai Vangeli ed in generale al Nuovo Testamento si potrebbe dire che è uno degli aspetti che rende questa lettera pastorale quasi una catechesi biblica. Con stile agile, l’Arcivescovo conduce il lettore tra gli uomini e le donne che, avendo incontrato Gesù, hanno preso a camminare dietro a Lui. Per conoscere Gesù, scrive, «c’è bisogno di qualcuno che ce lo indichi, che lo annunci, e poi c’è bisogno di un cuore libero e coraggioso per non lasciare che egli passi e ci trovi impreparati. C’è bisogno di lasciarci compromettere con lui, perché non basta raccogliere notizie su chi egli sia: occorre entrare in un’esperienza viva con lui, in una comunione di vita, una condivisione della sua esistenza che trasformi da estranei in testimoni». La sequela di Gesù, d’altra parte, è qualcosa di radicale e totalizzante: egli chiede, per essere suo discepoli, di affidarsi in tutto a Lui. Questa radicalità così come gli interrogativi che la predicazione di Cristo suscitano sono tra i motivi che hanno reso (e rendono) non facile, allora come oggi, accogliere Gesù ed il suo insegnamento. Domanda Betori:«Che Messia può essere mai un uomo che non trionfa, che si presenta con i caratteri della debolezza, che finisce i suoi giorni sulla croce come un qualsiasi malfattore? Perché questo è l’aspetto più sconcertante del mistero di Gesù: la sua umiliazione». Ma è proprio nella partecipazione alla Sua umiltà e povertà che si pone al centro della vita della comunità il principio della carità, una carità che ha i caratteri precisati da Paolo nell’inno della lettera indirizzata ai cristiani di Corinto. D’altronde l’annuncio di Cristo è chiaro:«Dio ci ama, e ama tutti, prima di tutto i più poveri e i più fragili, coloro che senza questo amore sarebbero nulla». Egli rivela il vero volto del Signore, Padre Misericordioso, ma manifesta anche la sua identità: Gesù è il Figlio stesso di Dio, che si è rivelato nella debolezza, nell’umiliazione, fino alla morte ed alla morte di croce. La lettera si conclude parlando della Resurrezione e della testimonianza di Gesù Risorto che gli apostoli cominciarono a diffondere nel mondo, sotto la guida e l’impulso dello Spirito Santo.
Termino riportando quello che l’Arcivescovo precisa essere lo scopo di questa suo documento:«Questa lettera avrà raggiunto il suo scopo, se sarà presto messa da parte dopo aver suscitato in chi la leggerà il desiderio di aprire le pagine dei vangeli e di confrontarsi lì, senza più intermediari, con il volto di Gesù».