di Carlo Nardi • Par di vederlo, sballottato su un carro alla volta del mare, grassoccio e sudato. Dal Libro del profeta Isaia leggeva Isaia il quarto canto del misterioso Servo di Dio (52,13-53,12), quel brano che apre la liturgia del venerdì santo.
Era il ministro delle finanze della regina di Etiopia. Ritornava da Gerusalemme, dal tempio, dove si era recato per devozione (At 8,26-40). Chissà. Era andato in pellegrinaggio perché aveva sentito parlare dell’antenata della sua sovrana, la favolosa regina di Saba, che c’era stata ai tempi del costruttore del tempio, il saggio re Salomone, ed era tornata con tanta sapienza e, si diceva, con il figlio di ambedue, Menelik. Aveva scoperto a Gerusalemme che dopo la Legge, i cosiddetti libri di Mosè, c’erano anche i testi dei profeti, scritti dopo Salomone, non ancor noti nella lontana Etiopia? Se n’era procurata una copia? Di fatto, per vincere la noia e i disagi del viaggio eccolo leggere a voce alta le vicende del Servo condannato, tolto di mezzo senza sue resistenze, il tutto per noi, per i nostri peccati, fino a una luce finale dopo il suo tormento e la morte (Is 52,13-53,12). Il gran ciambellano ci capiva poco, stropicciandosi i tre peli che aveva sulla bazza.
E doveva comunque consolarsi con la lettura, anche perché a Gerusalemme, dal solenne culto del popolo di Dio era rimasto piuttosto al di fuori. Perché il pover’uomo proprio uomo, tutto uomo non era o, meglio, non era ritenuto che fosse. Era un eunuco, e li “capponi” come lui non potevano far parte appieno della comunità santa ai sensi e per gli effetti della Legge di Mosé (Lv 21,20. cfr. 16-23).
Nel lento procedere della diligenza, qualcuno l’aveva sentito leggere con la sua vocina stridula e fessa. Era Filippo, che da poco gli apostoli avevano incaricato della distribuzione alle vedove bisognose in una specie di Caritas o di San Vincenzo. Istituito anche con l’imposizione delle mani. Era un diacono? (At 6,1-7) Di fatto, come gli aveva suggerito lo Spirito Santo ricevuto in gran copia, d’un balzo Filippo è sul carro e può rispondere alla domanda del curioso lettore: il Servo di cui parla Isaia è Gesù, il maestro di Nazareth, di cui ancora si parlottava in Gerusalemme; anzi è Gesù nella sua pasqua di morte e risurrezione, e nella sua vita in noi, come ha ben capito l’eunuco il quale la vita di Gesù risorto ora la chiede per sé. Difatti vuole il battesimo.
C’è un fiume, e il battesimo è a sua disposizione per lui che è così com’è. Ora è a pienissimo titolo nel nuovo popolo di Dio. E con lui, tutto pace e gioia nel gaudio della grazia di Dio, la Chiesa entra in Etiopia. Così entra in Africa, a meno che i Libici, già presenti alla prima pentecoste cristiana, non abbiano già raccontato. Filippo ha deciso di procedere al battesimo. Ha fatto quel che doveva fare, senza telefonate cautelative al Sant’Uffizio, che tra l’altro non c’era, senza nemmeno dover fare anticamera. Meno male per la Chiesa di sempre, fatta per tutti i figli d’Eva che sono così come sono. E meno male per noi che siamo, in un modo o in un altro, così come siamo.