di Giovani Campanella • Nelle ultime pagine di un recente libriccino tascabile, intitolato L’economia di Dio e pubblicato in Italia nel Febbraio 2016 da Edizioni Studio Domenicano all’interno della collana “Le frecce”, João César das Neves, ordinario di Economia presso l’Università Cattolica di Lisbona, propone un’interessante rivisitazione dei concetti di gratuità e di costo. Non mi sento di condividere varie considerazioni che fa lungo il corso di tutto il libro ma mi sembra brillante lo sviluppo finale di queste sue intuizioni sulla gratuità. A pagina 106 introduce il problema della popolare concezione di conflitto tra economia e azione cristiana:
«Nel tentare di mettere in dialogo scienza economica e fede, uno dei problemi più seri è rappresentato dal concetto di gratuità. La gratuità contraddistingue fondamentalmente tutto l’agire di Dio verso gli uomini, e, di conseguenza, diviene per essi norma fondamentale di comportamento. Questo principio cristiano sembra entrare in conflitto con le teorie economiche, dando luogo a contraddizioni insolubili. Per questo, l’economia viene considerata come una scienza fondamentalmente pagana, perché contraria alla gratuità su cui si fonda il cristianesimo».
Il conflitto è reale o apparente?
«Per fare un passo avanti in questa riflessione, conviene definire brevemente il concetto economico di costo, lasciando da parte le volgarizzazioni erronee o gli usi comuni e distorti del termine. (…). Il costo è definito dal valore dell’alternativa che è stata sacrificata da colui che ha operato una scelta. Questo è l’unico concetto di costo esistente, il concetto di “costo d’opportunità”» (p. 114).
Il costo è originato dal peccato? Non esattamente.
«E’chiaro che il peccato, avendo deprezzato la virtù nell’uomo, ha aumentato in modo drastico i costi della vita umana. Ed è vero che la maggior parte dei contenuti di cui si occupa la scienza economica nasce dagli effetti del peccato. Ma anche se il peccato non fosse esistito, le cose non sarebbero comunque state gratuite. In altre parole, alla natura prima delle cose che Dio ha fatto gratuitamente e ha offerto liberamente all’uomo, Dio ha anche deciso di associare un piccolo costo prima di donarle di nuovo all’uomo. Avrebbe potuto dargliele gratuitamente ma nella sua eterna sapienza, non l’ha fatto. (…). Dio ha creato il mondo per la magnificenza della sua liberalità, e l’ha messo nelle mani dell’uomo. Ma non gli è stato dato in modo gratuito. Il mondo è stato affidato all’uomo sotto determinate condizioni. Adamo ed Eva, nel Paradiso, hanno ricevuto un’incredibile quantità di beni. Ma questi doni hanno comportato un costo: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire (Gen 2,16-17). Senza dubbio, questo ha rappresentato un onere per loro. Per rimanere nel Paradiso, è necessario pagare un prezzo, quello di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. (…). Ipoteticamente, Dio avrebbe potuto creare un paradiso senza alcun prezzo da pagare. Infatti la condizione imposta è stata il risultato di un’autentica decisione divina. Dio ha voluto che ci fosse questo costo. L’incredibile sovrabbondanza di beni che Adamo ed Eva hanno ricevuto ha richiesto un costo, anche se davvero molto piccolo in rapporto ad essi. La ragione ci sembra evidente. Se Dio ci ricoprisse di tutti i suoi beni senza alcun prezzo da pagare, la libertà effettiva dell’essere umano scomparirebbe completamente. Saremmo come un bambino viziato che possiede tutto ciò che possa mai desiderare ma al quale manca una cosa essenziale: la capacità di scegliere. L’esistenza di un costo è dunque necessaria per consentire la libertà. Dio ha fatto gli uomini liberi , e per questo ha dato loro la possibilità di rifiutare i beni loro offerti» (pp. 117-118).
Libertà non fa rima con perfetta gratuità, intesa come gratuità senza alcun minimo costo.
«Dio vuole continuare ad avere bisogno dei nostri cinque pani e due pesci (Gv 6,9) per poterli moltiplicare. La grazia salvifica, che, in nome di Dio, porta il sigillo della gratuità, non è totalmente gratuita. (…). La predisposizione del nostro libero arbitrio è il prezzo che Dio ha voluto associare alla nostra salvezza, anche se, prima, ci ha donato tutto ciò di cui abbiamo bisogno per pagare quel prezzo» (p. 125).
L’autentico Amore è essenzialmente gratuito? In un certo senso, sì. L’autentico Amore ha un costo? In un certo senso, sì. Come si spiega il paradosso? Presupposto indispensabile dell’Amore è la libertà, la quale implica a sua volta una possibilità di scelta tra alternative. Se si sceglie un’alternativa, si rinuncia all’altra, il che è un costo. «L’atteggiamento dei santi è, da un punto di vista economico, perfettamente ragionevole. Inoltre, si rivela un ottimo affare, in quanto, come sempre, i benefici che Dio accorda superano di molto gli sforzi richiesti» (pp. 129-128).
Dunque non si può più parlare di “gratuità”? Dobbiamo eliminare tale termine dal vocabolario evangelico? Ciò sembrerebbe in conflitto (tra i tanti esempi nella Scrittura) con la traduzione di “δωρεὰν ἐλάβετε” in Mt 10,8: «gratuitamente avete ricevuto». Das Neves risponde a pagina 128:
«La Chiesa ha tutto il diritto di usare termini come “gratuità” e “grazia”. Prima di tutto perché, in ultima analisi, tutto viene da Dio, anche la possibilità di pagare il prezzo o meno. (…). Ma, in più, nell’ambito di un’analisi corrente anche in senso economico, il paragone tra l’immensità dei benefici e il prezzo da versare, così ridotto, permette di concludere che i doni di Dio sono praticamente gratuiti. Tuttavia, benché giustificato, l’uso di questi termini esige che essi siano compresi nel loro vero significato».
Tornando alla domanda iniziale: è proprio vero che scienza economica e logica divina “fanno a cazzotti”? «Non esiste il “pasto gratis” perché Dio ha voluto che per il pasto si sostenessero dei costi. E il fatto che ci siano dei costi legittima l’economia, che ne fa oggetto di studio. La scienza economica trae quindi la sua giustificazione dal fatto che Dio vuole che esistano dei costi» (p.129). D’altra parte, la scienza economica può studiare Dio?
«La risposta è negativa. Cercare di comprendere Dio e il suo agire con gli strumenti della scienza economica è pressoché impossibile. Quest’ultima non può analizzare l’attività economica di Dio. E questo perché, in aggiunta alle suddette considerazioni, la nostra scienza ha un grosso limite, dovuto al fatto che ha un’enorme difficoltà a prendere in considerazione l’infinito. L’infinito frantuma la contabilità, scardina le statistiche e cambia irrimediabilmente il senso di tutte le analisi economiche. Il problema che l’economia ha riguardo a Dio è equivalente a quello che i computer hanno riguardo ai numeri troppo elevati. Questo fenomeno è noto come overflow. L’unica consolazione che ci rimane è quella di sapere che la stessa cosa succede con le altre scienze. (…). Se vogliamo prendere in esame l’economia di Dio, è a Lui che dobbiamo chiedere l’illuminazione» (p. 129)