Sulla teologia dell’amicizia

telos di tale esperienza. Stefano Zamboni ha esposto alcune riflessioni a riguardo in Teologia dell’amicizia (EDB 2015), a partire dai cui snodi principali si cerca ora di offrire alcune suggestioni.

tutti come se stessi, bisogna vedere e sentire se stessi almeno in uno, bisogna in quest’uno percepire la vittoria, anche se parziale, sull’aseità. L’amico è proprio quest’uno e l’amore agapico per lui è conseguenza dell’amore di filìa per lui. D’altra parte perché l’amore di filìa per l’amico non degeneri in una specie d’amore di se stessi […] è indispensabile che si manifestino e aprano all’esterno le energie che dà l’amicizia […] l’amore agapico per i fratelli”.

fratello e di amico; ma, in che relazione esse stanno nel loro riferimento al concetto di amicizia, dato che, come si constata anche dal gergo comune, si è soliti combinarle, tanto da dire all’amico: “ti voglio bene come un fratello”? Ebbene, amico dice elezione, fratello dice legame naturale dato. La nozione che maggiormente dice libertà, quella di elezione, sembra, a ben guardare, avvertire la necessità, per inverarsi, di vivere di un legame inalienabile: l’amicizia è connotata dal per sempre e rivela che non è frutto di una scelta tra persone ma di una – afferma J. Caillot – reconnosaince (che è sia riconoscimento che riconoscenza); scrive infatti J.-L. Chrétien: “io non scelgo l’amico, mi scelgo in lui”.

uno per poter amare tutti’ di Florenskij, ovvero quella tensione tra i termini dimensione particolare e universale, legati tra di loro secondo un nesso causale. L’amico è questo uno che fa spazio in sé per accogliere l’altro, dargli dimora e quindi identità.

ad-extra di Figlio e Spirito Santo: la kenosi, lo svuotamento che assume l’altro e dal di dentro lo informa della propria natura agapica. Si capisce così come l’amicizia sia immagine del dinamismo trinitario, fatto di unità e distinzione, distanza e intimità, raccoglimento e irraggiamento, e, soprattutto, luogo-di-partecipazione ad esso. In ciò si differenzia l’amor concupiscientiae dall’amor amicitiae: “perdere – scrive Florenskij – la propria anima […], il sacrificio della propria figura personale, della propria libertà, della propria vocazione” per dar la vita all’altro, per farlo essere.

communicatio, è comunicazione della parte più profonda e costitutiva di sé.

– “la vittoria sull’aseità”. L’amico è il più perfetto alter ego, non nel senso di una proiezione narcisistica di sé nell’altro, in cui si ama sé; ma come colui nel quale la propria eccentrica identità massimamente risalta; colui che, nell’accoglienza amorosa in sé, getta luce sull’altro, presentandosi così come “norma e regola” (Gregorio Nazianzeno).

norma, che l’uno è per l’altro, rimanda alla polarità che il Signore stesso stabilisce: dono e comandamento (cf. Gv 15,14). Tale risvolto di ordine morale non rappresenta un cambio di prospettiva ermeneutica su quanto detto fin ora ma la sua condizione di possibilità e verifica: come il Figlio è tutto per e nel Padre, i discepoli devono essere tutti per e in lui; solo nella pericòresi kenotica l’amicizia può sussistere.

tertium, il sommo bene che lo fonda, che si gioca l’apertura di esso affinché nessuno ne resti escluso.