La crisi greca non è solo questione di soldi

753 500 Leonardo Salutati
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grecia-600935_10151227910487382_131533618_ndi Leonardo Salutati • Nel momento in cui sto scrivendo siamo ancora nell’impasse, con la Grecia che si rifiuta di accettare le richieste formulate dai suoi creditori arrivando perfino, per bocca del suo premier Tsipras, ad accusare il Fondo monetario internazionale di avere nei suoi riguardi una “responsabilità criminale” e gli altri creditori di avanzare richieste che riporteranno la Grecia “nella recessione“.

Sulla sponda opposta c’è chi sostiene che la Grecia debba rispettare le scadenze dei pagamenti indipendentemente dalle ripercussioni a livello umanitario ed economico, senza considerare però che tutti i governi greci precedenti non sono riusciti a rispettarle. Altri fanno finta di preoccuparsi delle implicazioni a livello etico di un’eventuale riduzione del debito, anche se il debito del settore privato del paese è già stato cancellato su insistenza dell’Ue e anche se ci sono decine, se non centinaia, di precedenti per la ristrutturazione del debito di paesi sovrani insolventi. In realtà tali argomentazioni vogliono nascondere il vero nodo del problema, costituito dal fatto che assecondare le richieste greche, a prescindere da quanto ovvia sia la loro necessità, verosimilmente richiederebbe il voto parlamentare dei paesi di tutta la zona euro e molti governi dovrebbero fare fronte a una robusta opposizione da parte della popolazione. Per cui invece di confrontarsi con gli ostacoli politici, i leader europei si stanno nascondendo dietro un fumo di retorica insensata. A sua volta Cristine Lagarde, in procinto di lanciarsi nella campagna per la rielezione a presidente del Fmi, deve fare fronte alla fronda dei paesi emergenti in seno al Fmi, esasperati per il troppo tempo e le troppe risorse dedicate alla Grecia in confronto a quanto fatto quando, a trovarsi in difficoltà, furono paesi molto più poveri.

Bisogna rilevare però che i greci, respingendo le richieste dei creditori, non stanno bleffando, cercano piuttosto di restare in vita. A prescindere da ciò che si può pensare a proposito delle politiche economiche greche del passato, della economia greca non competitiva, della sua decisione di entrare nella zona euro, o degli errori che le banche europee hanno commesso quando hanno dato al governo greco credito eccessivo, la situazione nella quale si trova l’economia del Paese è estremamente drammatica. In Grecia la disoccupazione è ferma al 25 per cento. La disoccupazione giovanile è al 50 per cento. Dall’inizio della crisi nel 2009 il Pil si è contratto del 25 per cento. Il governo è insolvente. Una buona parte della popolazione soffre la fame. Per questo sono sempre più numerosi gli osservatori che notano una pericolosa analogia della situazione in cui versa la Grecia con quella della Germania nel 1933. Naturalmente non c’è da temere l’ascesa di un Hitler greco perché la democrazia greca si è rivelata straordinariamente matura, quanto piuttosto una situazione di estrema indigenza all’interno della UE e le deleterie ripercussioni di tale condizione sulla politica e sulla società del continente.

Quasi un secolo fa, al termine della Prima guerra mondiale, John Maynard Keynes lanciò un avvertimento che andrebbe oggi tenuto in maggiore considerazione rispetto a quanto avvenne all’epoca. Allora come adesso i paesi creditori chiedevano che i paesi fortemente indebitati onorassero i loro debiti. Keynes sapeva che si stava preparando una tragedia frutto del prevalere del cinismo sulla “solidarietà morale ed economica”. Nel suo libro, Le conseguenze economiche della pace, chiedeva: «I popoli afflitti d’Europa saranno davvero disposti per tutta la prossima generazione a organizzare le proprie vite così che una considerevole parte della loro produzione giornaliera sia messa a disposizione per far fronte ai pagamenti con l’estero? In sintesi, io credo che nessuno di questi tributi continuerà a essere pagato, nella migliore delle ipotesi almeno per qualche altro anno ancora».

Di fronte a tutto questo sembra che non ci sia la capacità di un’interpretazione articolata e non intransigente delle responsabilità, che rimandi non solo a fattori interni alla Grecia, ma anche alle contraddizioni dell’area monetaria europea, che determina variazioni implicite dei tassi di cambio reale al proprio interno, senza meccanismi di riequilibrio fiscale o di oneri espansivi per i paesi in surplus, ancorandosi pervicacemente a riforme del mercato del lavoro, a tagli fiscali e a deregolamentazioni interne per aumentare, magicamente, crescita e competitività nazionale (The Economist, 2011). Nell’attribuzione delle responsabilità poi, non viene data rilevanza all’incidenza dei fattori globali, ci si limita a sporadiche valutazioni negative degli effetti destabilizzanti della vendita allo scoperto di Credit Default Swap sui titoli del debito pubblico greco, e si evita di fare cenno al ruolo fondamentale giocato delle banche internazionali.

Come all’epoca le sanzioni e le riparazioni richieste dagli Alleati alla Germania avevano possibilità nulle di essere onorate, oggi le manovre di consolidamento richieste dalla Troika hanno le medesime chance di innescare crescita della produzione e dell’occupazione e di rappresentare il paradigma di risoluzione della crisi, tanto più se si considera che tali misure hanno una sinistra somiglianza con i Piani di aggiustamento strutturale imposti ai Paesi indebitati in via di sviluppo il cui esito, per stessa ammissione del Fmi e della Banca Mondiale è stato fallimentare (FMI e BM, 1990 e 2001).

Per questo non è solo questione di soldi, perché il caso greco richiede all’Europa di risvegliarsi dal torpore, di reagire alla stanchezza (Papa Francesco), di ritrovare le sue radici, per rinnovare i valori di solidarietà, rispetto della persona e uguaglianza che hanno ispirato i padri fondatori, recuperando una visione integrale dell’uomo considerato in tutte le sue dimensioni, compresa quella spirituale e trascendente (Benedetto XVI), capace per questo di trovare risposte adeguate e costruttive alle sfide con cui deve misurarsi.

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Leonardo Salutati

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