«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati»

 

Ma c’è un altro filone da interpretare circa il rapporto tra lo Spirito santo e la Pasqua, che si trova descritto nel Vangelo secondo Giovanni. Anzitutto il momento della morte di Gesù: secondo il quarto vangelo «Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30). Il vangelo di Giovanni supera di gran lunga l’espressione rispettivamente di Marco e di Luca (Mc 15,37.39 e Lc 23,46: «spirò») ma anche di Matteo (27,50: «rese lo spirito»).

Alcuni autori hanno pensato di collegare l’ultima azione di Gesù morente alla Madre e al discepolo amato, presenti sotto la croce, nell’atto di “trasmettere lo Spirito”. Dopo tutto in precedenza Gesù ha promesso di donare lo spirito: «Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7,37-39).

Come scrive Brown: «Giovanni vuol dire che quando Gesù chinò il capo verso coloro che erano presso la croce… egli consegnò loro lo Spirito santo. Essi sarebbero stati i primi ad essere costituiti figli di Dio dal Gesù vittorioso, quando fu innalzato da terra sulla croce ma prima che risorgesse dai morti» (La morte del Messia, 1221). In questo testo vengono inopinatamente superati gli stessi discepoli.

Il testo giovanneo pur orientandosi verso un percorso che la Chiesa affronterà in seguito – anche se eccessivamente caricato di significati dall’interpretazione patristica –, è invece in contatto con la tradizione dei Vangeli Sinottici, che ricorda ad esempio il potere di “legare e sciogliere”, così come troviamo in Mt 18,18 e 16,19. E tuttavia non va letto come la versione giovannea del racconto della Pentecoste trasmesso nel libro degli Atti.

Nel Vangelo di Giovanni, infatti, il perdono dei peccati ad opera dei discepoli è indicato con forza come dono del Risorto alla sua chiesa: lo stesso fatto che è il perdono ad avere la precedenza significa indicare la preminenza della salvezza, ma avviene comunque all’interno della comunità, come si esprime lo stesso Giovanni nella lettera: «se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1 Gv 1,7).

Lo Spirito santo, dono del risorto, anzi del Cristo nell’atto stesso della sua morte, creano il tessuto ecclesiale in cui la comunità sperimenta la propria fragilità, ma anche la grandezza della misericordia divina nel Cristo, della salvezza operata dalla croce: «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).

Per esprimersi ancora con le parole della lettera dell’apostolo: «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1 Gv 1,8-10). E ancora: «se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita» (1 Gv 5,16).