L’italia sempre più vecchia. Attenti alla cultura dello scarto

 

 

Anziani-600x300di Antonio Lovascio • Occhio alle statistiche dell’Istat, agli studi del Censis ed all’Annuario del Ministero della Salute , tre ottimi “osservatori” per seguire la rivoluzione sociale più profonda in atto oggi nel Paese e anche la meno discussa, perché avviene nei soggiorni di casa invece che nelle piazze. In Italia (siamo tra i più longevi non solo in Europa ma anche nel mondo) sta prendendo una forma sempre più marcata un nuovo ceto: i grandi anziani. I centenari. Hanno infatti avuto una crescita esponenziale: ora sono 17 mila e tra 30 anni saranno più di 150 mila. Come ha ricordato Federico Fubini (Corriere della Sera) erano 51 quando Benito Mussolini marciò su Roma meno di un secolo fa e meno di mille quando l’Italia vinceva il Mondiale di Spagna (1982) con Dino Zoff capitano ed Enzo Bearzot in panchina, davanti ad un esultante Presidente Sandro Pertini e a un divertito, giovane re Juan Carlos.

Se le ultime statistiche ci hanno fatto scoprire l’Italia centenaria, è un po’ che sappiamo che stiamo collezionando record anche per gli over 65. Al 31 dicembre 2015 ogni 100 giovani c’erano 161,4 ultrasessantacinquenni, rispetto ai 157,7 dell’anno precedente. Per quanto riguarda il confronto con gli altri Paesi europei, secondo gli ultimi dati disponibili siamo al secondo posto nel processo di invecchiamento della popolazione, preceduta solo dalla Germania. Sul territorio è la Liguria la regione con l’indice di vecchiaia più alto (246,5 anziani ogni 100 giovani) mentre quella con il valore più basso è la Campania (117,3%) ma in entrambi i casi i valori sono in aumento rispetto all’anno precedente. Di fronte al drastico cambiamento demografico il Servizio sanitario nazionale è costretto a ripensarsi e riprogettare la sua rete di offerta di servizi. La gestione delle risorse diventa sempre più difficile soprattutto per il braccio di ferro tra Stato e Regioni, alcune delle quali hanno purtroppo fatto segnare numeri in ‘profondo rosso’ se non da bancarotta: ecco perché si rende sempre più necessario un serio ripensamento sia a livello logistico che strutturale delle prestazioni erogabili. Le strutture pubbliche specializzate nell’assistenza agli anziani sono largamente insufficienti e spesso inaccessibili per chi ha pensioni da fame o redditi non elevati. Per fortuna ad integrare i servizi comunali e regionali esistono RSA gestite da Istituti religiosi o dal Volontariato cattolico.