L’italia sempre più vecchia. Attenti alla cultura dello scarto

320 238 Antonio Lovascio
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Anziani-600x300di Antonio Lovascio • Occhio alle statistiche dell’Istat, agli studi del Censis ed all’Annuario del Ministero della Salute , tre ottimi “osservatori” per seguire la rivoluzione sociale più profonda in atto oggi nel Paese e anche la meno discussa, perché avviene nei soggiorni di casa invece che nelle piazze. In Italia (siamo tra i più longevi non solo in Europa ma anche nel mondo) sta prendendo una forma sempre più marcata un nuovo ceto: i grandi anziani. I centenari. Hanno infatti avuto una crescita esponenziale: ora sono 17 mila e tra 30 anni saranno più di 150 mila. Come ha ricordato Federico Fubini (Corriere della Sera) erano 51 quando Benito Mussolini marciò su Roma meno di un secolo fa e meno di mille quando l’Italia vinceva il Mondiale di Spagna (1982) con Dino Zoff capitano ed Enzo Bearzot in panchina, davanti ad un esultante Presidente Sandro Pertini e a un divertito, giovane re Juan Carlos.

Entrando nei dettagli – che forse aiutano a capire meglio il fenomeno – dal 2003 fino all’anno scorso il numero degli ultranovantenni è aumentato di una quantità pari agli abitanti di Bari. All’ultimo censimento il record è toccato a Siena. Può darsi che i giovani abbiano lasciato la città o che nascano pochi bambini, non solo che a Siena si vive bene e più a lungo. L’analisi e le cifre dell’Istat sulle realtà territoriali con una proporzione più alta di grandi anziani aiutano comunque a fare un po’ di chiarezza. Vi figurano in effetti centri con una natalità molto più bassa della media italiana — La Spezia, Savona, Udine o Trieste — e questo spiega il peso relativo degli anziani. Nell’elenco dell’Istat emergono però tre città ad alta densità di ultranovantenni dove la frequenza delle nascite è nelle medie nazionali, o solo di poco sotto: appunto Siena, oltre a Firenze e Bologna. Nemmeno questa è una prova che in quei comuni si vive di più e che dunque vanno cercati lì i segreti di una lunga esistenza. È solo un altro indizio. Quei tre capoluoghi di provincia però presentano un ulteriore punto in comune perché, fra i grandi anziani, hanno tutte una proporzione di laureati sopra alle medie nazionali. Questo in effetti sembra logico: le probabilità di morire durante la mezza età diminuiscono infatti di molto per chi ha raggiunto livelli di istruzione più alti. Lo studio allunga la vita, in media, perché in certi casi la salva, come spiega Stefano Mazzucco su Neodemos facendo un esempio: fra i maschi italiani fra i 25 e i 44 anni le probabilità di morire sono triple in chi ha la licenza elementare rispetto a chi è laureato.

Se le ultime statistiche ci hanno fatto scoprire l’Italia centenaria, è un po’ che sappiamo che stiamo collezionando record anche per gli over 65. Al 31 dicembre 2015 ogni 100 giovani c’erano 161,4 ultrasessantacinquenni, rispetto ai 157,7 dell’anno precedente. Per quanto riguarda il confronto con gli altri Paesi europei, secondo gli ultimi dati disponibili siamo al secondo posto nel processo di invecchiamento della popolazione, preceduta solo dalla Germania. Sul territorio è la Liguria la regione con l’indice di vecchiaia più alto (246,5 anziani ogni 100 giovani) mentre quella con il valore più basso è la Campania (117,3%) ma in entrambi i casi i valori sono in aumento rispetto all’anno precedente. Di fronte al drastico cambiamento demografico il Servizio sanitario nazionale è costretto a ripensarsi e riprogettare la sua rete di offerta di servizi. La gestione delle risorse diventa sempre più difficile soprattutto per il braccio di ferro tra Stato e Regioni, alcune delle quali hanno purtroppo fatto segnare numeri in ‘profondo rosso’ se non da bancarotta: ecco perché si rende sempre più necessario un serio ripensamento sia a livello logistico che strutturale delle prestazioni erogabili. Le strutture pubbliche specializzate nell’assistenza agli anziani sono largamente insufficienti e spesso inaccessibili per chi ha pensioni da fame o redditi non elevati. Per fortuna ad integrare i servizi comunali e regionali esistono RSA gestite da Istituti religiosi o dal Volontariato cattolico.

Una “missione” sempre più raccomandata da Papa Francesco, che alla “terza età” ha dedicato una parte importante nella Catechesi della famiglia. Bergoglio predica che la vecchiaia – sostenuta dai progressi della medicina – è ricchezza, non può essere considerata come una malattia. Il secolo attuale, in cui la natalità decresce e gli anziani aumentano, è definito dagli studiosi occidentali il secolo dell’invecchiamento. Uno sbilanciamento che, dice il Papa “ci interpella, anzi, è una grande sfida per la società contemporanea”. Per converso, esiste una cultura del profitto che “insiste nel far apparire i vecchi come un peso, una “zavorra”. Il risultato è che l’anziano è un onere da scartare. E questa cultura dello scarto, alla quale – ammonisce il Pontefice – è vile assuefarsi,“è una cosa brutta, è peccato!”. Il nostro voler rimuovere la paura della vulnerabilità, accresce in chi è nell’età senile “l’angoscia di essere mal sopportati e abbandonati”. La Chiesa insegna vicinanza ai nonni, soprattutto ora che si avvicina l’estate e molti – anche se ammalati o soli – vengono lasciati (da figli e nipoti) al loro destino o affidati per lunghi periodi ad una “badante” pensando così di mettersi la coscienza a posto. Alla nostra società perversa, Papa Francesco puntando il dito contro le degenerazioni, ammonisce che “dove non c’è onore per gli anziani non c’è futuro per i giovani”.

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Antonio Lovascio

Tutte le storie di: Antonio Lovascio