di Giovanni Campanella • In onore dell’economista Pier Luigi Porta, nato nel 1946 e deceduto il 29 gennaio 2016, la casa editrice Città Nuova ha pubblicato nel mese di gennaio 2017, all’interno della collana “IDEE/economia”, diretta da Luigino Bruni, una raccolta di piccoli saggi scritti da noti studiosi e curata da Michele Dorigatti e Stefano Zamagni. Il primo saggio è una relazione inedita del 1996, a firma di Pier Luigi Porta e Roberto Scazzieri, su alcuni esponenti del pensiero economico italiano a cavallo tra ‘800 e ‘900. Seguono poi contributi di Amartya Sen, Luigino Bruni, Vera Zamagni, Leonardo Becchetti, Francesco Viola, Renato Ruffini, Vittorio Pelligra, Alessandra Smerilli e Stefano Zamagni.
Tutto il “libro-raccolta” è intitolato Economia è cooperazione. Infatti il filo rosso che lega tutti i contributi è ribadire che il collegamento tra economia e felicità passa dalla massima inclusione, dall’incontro operoso tra più persone possibili. Accumulare in solitario sempre più ricchezza non conduce alla felicità, anzi, come ci ricorda lo stesso Zamagni nelle ultime pagine,
«ha trovato ampia conferma il paradosso di Easterlin, scoperto per primo dall’economista americano nel 1974, secondo cui, oltre una certa soglia di reddito pro capite, ulteriori aumenti dello stesso anziché accrescere o stabilizzare il livello della felicità individuale provocano diminuzioni della stessa» (p. 249).
Dato che l’uomo è fatto per essere in relazione e in essa trova la sua felicità, ne deriva che l’economia autentica, l’economia come veicolo verso la felicità, è cooperazione, è un fare insieme per un fine comune. La vera economia è al servizio della totalità della società civile, in modo tale che questa possa liberamente crescere e accrescere la propria libertà. In una prolusione dell’economista Francesco Ferrara del 16 novembre 1849, citata da Porta e Scazzieri, si afferma che l’economia è una scienza «apparecchiata a rompere ogni giorno una lancia a tutela della libertà delle genti» (Ferrara come citato a p. 23).
L’uomo è naturalmente al centro della vera economia. Intorno al 1889, Tullio Martello sottolinea che il ruolo del lavoro umano è condizione necessaria per l’esistenza di utilità oggettive.
La ricerca del profitto è un legittimo orientamento verso cui ordinare l’attività ma mai deve andare a detrimento dell’uomo e mai deve essere il solo e neanche il primo orientamento. Amartya Sen, illustre economista, ricorda che
«i primi sostenitori del ricorso ai mercati, compreso Adam Smith, non consideravano il puro meccanismo di mercato come una realtà capace da sola di generare eccellenza, né ritenevano essere la motivazione del profitto tutto ciò di cui si aveva bisogno. Mentre l’interesse personale può essere sufficiente per spiegare il motivo per cui ricerchiamo lo scambio, non è il solo perseguirlo sopra ogni altra cosa a rendere gli scambi e le relazioni d’affari sostenibili, efficaci ed efficienti. C’è bisogno di cooperazione e, fra altre qualità, Smith sottolinea l’importanza della fiducia» (p.82).
Nelle ultime pagine, Stefano Zamagni suggerisce di passare dal paradigma della felicità individuale a quello della felicità pubblica, già accarezzato da Aristotele, dall’Umanesimo civile e dall’Illuminismo italiano, fiorito soprattutto nel ‘700 nella Scuola milanese e nella Scuola napoletana.