Complementarietà tra diritto di libertà religiosa e limitazione di libertà giuridica nella Chiesa

 

Vescovi-toscani-prosegue-il-cammino-delle-diocesi-per-il-rinnovamento-della-vita-del-clero_articleimagedi Francesco Romano • Ogni uomo è tenuto a ricercare la verità nelle cose che riguardano Dio e la sua Chiesa. La conoscenza della verità lo vincola per legge divina e lo obbliga ad abbracciarla e a osservarla (can.748 §1).

L’obbligo di tale ricerca spinge tutta la Chiesa e ogni singolo fedele a impegnarsi nell’esercizio del munus docendi per annunciare il Vangelo secondo i modi e le competenze specifiche di ciascuno come è avvenuto per la Chiesa stessa nata dall’azione evangelizzatrice di Gesù e degli Apostoli.

La Dignitatis humanae dichiara e riconosce l’immunità da coercizione in materia religiosa quale diritto della persona umana come tale che mai deve essere forzata ad agire contro la sua coscienza. Una libertà incompatibile con qualsiasi coercizione esterna, ma soprattutto con quella più subdola e pericolosa che soffoca la libertà interna servendosi anche di metodi e strategie psicologiche.

La libertà religiosa, di cui ogni uomo gode come suo diritto nell’ambito secolare, può porre il quesito se questo stesso diritto fondamentale, almeno in qualche misura, sia trasferibile anche all’interno della Chiesa sotto forma di libertà del fedele al dissenso.

Il fine ultimo che svolge la tutela giuridica riguarda la salus animarum, mentre fine intermedio riguarda il diritto a possedere la Parola di Dio.

La libertà psicologica è un’esigenza intrinseca all’atto di fede, quale atto personalissimo che presuppone la libertà interna e il diritto alla libertà morale, che si traduce in obbligo derivante dalla libertà religiosa di cercare e abbracciare la parola di Dio. Più complessa invece è la libertà giuridica perché viene immediato il riferimento al modello di libertà che vige all’interno della società civile.

L’ordinamento canonico riconosce ai fedeli numerosi diritti fondamentali quali l’annuncio del Vangelo, la manifestazione ai pastori delle necessità soprattutto spirituali e del pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa in modo proporzionato alla scienza e competenza che possiedono, il diritto di ricevere gli aiuti derivanti dai beni spirituali, di fondare ed erigere associazioni, di promuovere o di sostenere l’attività apostolica, di ricevere l’educazione cristiana, di investigare e manifestare con prudenza il loro pensiero, di scegliere lo stato di vita, di rivendicare e difendere i propri diritti, di essere giudicati dall’autorità competente secondo la legge da applicare con equità, di non essere colpiti da pene canoniche se non a norma di legge.

I diritti fondamentali del Popolo di Dio costituiscono un bene ecclesiale che, rientrando nell’attuazione dello stesso disegno divino della salvezza, ci conducono alla volontà fondazionale di Cristo.

L’autonomia e la libertà che derivano da questi diritti si qualifica sempre come “giusta autonomia” e “giusta libertà” perché regolate da limiti giuridici che mettono al primo posto l’obbligo di conservare la comunione (cann. 205 e 209).

La comunione di coloro che nella Chiesa sono stati “convocati” si fonda sull’adesione al comune deposito della fede che deve essere conosciuto e recepito nella sua oggettività. Nella Chiesa l’agire dell’uomo libero deve essere un agire ecclesiale che ha come fonte la Parola rivelata, alla quale è stata data la propria adesione, e il principio sempre irrinunciabile di salvaguardare la comunione.

Diritto di libertà religiosa e limitazione della libertà giuridica sono nella Chiesa complementari perché confluiscono nella realizzazione del medesimo fine salvifico.

Il fedele potrebbe arrivare a defezionare dalla fede cattolica, ma non è libero di dissolvere il carattere battesimale che lo ha contrassegnato e per questo conserva sempre il diritto, oltre al dovere, di rientrare nella comunione con la Chiesa che sul piano ontologico non si interrompe mai. Ne è un esempio la pena della scomunica che produce i suoi effetti finché il reo resta in contumacia, ma il senso e il significato che giuridicamente e teologicamente giustificano la pena è di essere “medicinale”, perché vuole riportare il fedele che delinque alla conversione attraverso la privazione di determinati diritti, e di decadere immediatamente per effetto del ravvedimento.

Pertanto, ammessa la libertà interna di adesione dell’intelletto e della volontà al deposito della fede, il fedele che è inserito nella piena comunione della Chiesa esercita il proprio diritto di libertà religiosa in modo da escludere spazi di soggettivismo o relativismo che possano minacciare l’oggettività del depositum fidei.

La libertà religiosa nella Chiesa si realizza attraverso i diritti che essa riconosce al fedele e che devono essere esercitati in maniera congrua da non compromettere l’autenticità e l’integrità dell’unico deposito della fede e quindi il proprio e l’altrui bene su cui si fonda la comunione.

L’autenticità e integrità della Parola rivelata costituiscono la dimensione di giustizia nella Chiesa perché sono alla base del dovere di conservare la parola di Dio e del diritto di ogni fedele di poter usufruire autenticamente di tale conservazione.