di Francesco Vermigli • Ci sono libri che si leggono tutti d’un fiato: è il caso di quello scritto da Linda Pocher, suora della congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice (L’uomo e la donna nel disegno di Dio, Torino, Elledici, 2016, pp. 95). Sarà stato per il carattere sintetico del libro, per la passione giovanile che traspare tra le righe, per la fluidità dello stile, per la ricchezza dei riferimenti teologici, filosofici e psicologici, ma ci siamo trovati – si direbbe – a divorare il suo testo. C’è tuttavia una ragione più profonda che ci ha fatto apprezzare ancora meglio il valore di questo libro: il fatto che affronti senza timore di essere fraintesa la differenza sessuale, come dato ricolmo di significato per l’uomo d’oggi.
Ha ancora senso – si chiede l’autrice – riconoscere un valore antropologico alla differenza tra l’uomo e la donna? A ben vedere, la teologia e la Chiesa per decenni si sono affaticate a ricercare il senso di questo fatto; in modo particolare mediante la valorizzazione del femminile nella vita ecclesiale. Eppure la storia del nostro mondo occidentale sembra andare tutta da un’altra parte, come attesta l’avvolgersi della discussione pubblica – in una maniera persino ossessiva – sulle tematiche del “genere”. Alle vestali delle “magnifiche sorti e progressive” sembrerà che si tratti solo di aspettare qualche anno e certificare di nuovo il ritardo della Chiesa nel cammino della storia. A meno che la differenza sessuale uomo/donna non abbia in sé un significato talmente decisivo, che la Chiesa anche nel futuro non potrà che custodirlo, preservarlo e valorizzarlo.
Il punto su cui frequentemente l’autrice ritorna, è la possibilità – che a giudizio della nostra società dovrebbe essere riconosciuta all’essere umano – di plasmare se stesso. In quest’ottica il corpo sessuato è percepito come un limite che ostacola l’obbiettivo dell’autodeterminazione assoluta: il corpo nella sua conformazione maschile e femminile – per così dire – ricorda continuamente all’uomo faber sui uno stadio dell’umano da superare. Non è quindi un caso che tra l’esegesi di brani biblici e le citazioni di filosofi moderni, molte pagine siano dedicate a verificare il significato antropologico che ha la differenza sessuata tra uomo e donna. Ci si sofferma, ad esempio, su cosa venga scatenato nella psiche della donna dal ciclo mestruale – che, tra il menarca e la menopausa, si pone come una continua memoria della possibilità perduta e sempre rinnovata della generazione – e su come la presenza dell’uomo a fianco della donna durante la gestazione richiami simbolicamente il fatto che quello che è custodito nel grembo della madre, ha un’origine esterna alla madre. Si mostra in modo particolare il significato che ha l’atto sessuale, dal momento che nella congiunzione dei corpi si rivela la bipolarità non solo anatomica del maschile e femminile: se nell’atto sessuale al polo maschile spetta l’esteriorità e il movimento donativo dall’interno verso l’esterno, al polo femminile spetta l’interiorità e il movimento inverso, quello dell’accoglienza ricettiva di ciò che proviene dall’esterno. Il punto su cui si gioca tutto il libro è proprio quel non solo anatomicamente. Se una corretta antropologia ci ha insegnato a dover affermare che noi non abbiamo un corpo, ma che siamo un corpo, cosa si potrà affermare della differenza sessuale tra il maschile e femminile?
Si dovrà sfuggire all’idea che la differenza sia solo al livello della costituzione anatomica, e abbracciare quella che riconosce al maschile e al femminile un modo diverso di vedere l’intera realtà; modo diverso, perché radicato in una differente corporeità. Così, da un lato la donna manifesta la propria presenza nel mondo attraverso il controllo dello spazio abitato, dall’altro l’uomo tende a guardare la realtà in profondità, con lo scopo del raggiungimento di un obbiettivo; atteggiamenti che si pongono come una sorta di interiorizzazione della forma esteriore del rispettivo apparato sessuale. Ma ad entrambi spetta il compito di sfuggire ai rischi connessi con questi tratti specifici del proprio stare al mondo: per la donna il rischio di un controllo ossessivo della realtà e dell’altro, per l’uomo il rischio di un egoismo incapace di percepire l’alterità.
È la riflessione più direttamente teologica che permette di cogliere come l’uomo e la donna siano chiamati ad un cammino parallelo di purificazione del modo di pensare la propria costituzione sessuata: il Vangelo riconduce al progetto delle origini; o meglio, il Vangelo riconduce – per dirla con il titolo del libro – al disegno che Dio ha per l’uomo e per la donna fin dagli inizi. Come noto, i movimenti femministi hanno accusato la Chiesa di legittimare un rapporto tra i sessi, fondato sul potere dell’uomo sulla donna: il che non è da escludersi sia accaduto e accada tuttora. Ma è l’immagine dei sessi consegnata dai Vangeli – quella della “reciprocità asimmetrica”, per dirla con l’autrice – a presentarsi alla Chiesa come una continua provocazione. Nella memoria di quest’ultima, restano scolpite le parole del suo Maestro: “ma da principio non era così”.