di Francesco Romano • La Costituzione apostolica Lumen Gentium (LG) nell’ambito delle relazioni con la Gerarchia descrive la situazione giuridica dei fedeli che deriva dalla comunione nella fede e nei sacramenti. In modo particolare “I laici come tutti i fedeli, hanno il diritto di ricevere abbondantemente dai sacri Pastori i beni spirituali della Chiesa, soprattutto gli aiuti della parola di Dio e dei sacramenti”. (LG 37). Questo passaggio della Lumen Gentium è fonte del can. 213 posto nel contesto più ampio degli obblighi e diritti di tutti i fedeli in forza della rigenerazione in Cristo (can. 208 e ss).
La vocazione universale alla santità (LG 39-42) è in stretta relazione con il dovere per tutti i fedeli di corrispondervi (can. 210). In questo dinamismo, per partecipare alla missione santificatrice di Cristo e adempiere più fedelmente gli obblighi propri del battezzato, tra cui promuovere la crescita della Chiesa e la sua santificazione, si inserisce il diritto di ricevere gli aiuti che scaturiscono dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti (can. 213).
Per questo motivo gli aiuti spirituali e, soprattutto, i sacramenti si collocano nella linea della giustizia per il diritto fondamentale dei fedeli a riceverli (can. 213) ed essere aiutati nell’adempiere il proprio dovere di condurre una vita da discepolo, di cooperare all’edificazione del Corpo di Cristo (can. 208), di conservare la comunione con la Chiesa (can. 209 §1), di condurre una vita santa e promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione (can. 210), di impegnarsi nella diffusione dell’annuncio divino (can. 211) ecc.
Per ogni battezzato ricevere la comunione è un diritto (can. 912) il cui esercizio è regolato dal can. 915 e ss., ma anche un obbligo, almeno una volta all’anno (can. 920 §1). Così anche la confermazione e l’unzione degli infermi sono un diritto per i fedeli (cann. 889 §1; 1006) con le limitazioni prescritte per l’esercizio di tale diritto (cann. 889 §2; 1007). Chi non appartiene ancora al Popolo di Dio è comunque in relazione con la Chiesa in quanto “ordinato” da Dio a diventare suo membro e in questo senso è già soggetto di attribuzioni giuridiche con il diritto a essere istruito nelle verità di fede e a ricevere il battesimo (cann. 206; 788 §§1-2; 864), come pure a ricevere le esequie ecclesiastiche (can. 1183 §1) nel caso dei catecumeni. Al diritto di essere liberi da qualsiasi costrizione nella scelta del proprio stato di vita (can. 219) non corrisponde il diritto di essere promossi all’ordine sacro, mentre esiste un diritto per tutti al matrimonio se il diritto stesso per precise circostanze non ne fa loro divieto (can. 1058).
La Lumen Gentium definisce il peccato come una ferita inferta alla Chiesa (LG 11) dalla quale ne consegue una certa frattura della comunione con coloro che condividono l’unica fede, determinata anche dal loro modo di agire (can. 209 §1). Tra il diritto di ricevere i sacramenti e l’adempimento di determinati doveri, si inserisce l’effetto del peccato, la necessità di riconciliarsi con Dio e con la Chiesa che si realizza con il perdono dell’offesa e la reintegrazione nella comunione ecclesiastica (LG 11). Quindi, il diritto di ricevere i sacramenti ha come limite per il fedele di trovarsi nelle dovute disposizioni e non avere la proibizione dal diritto (can. 843 §1).
Anche per quanto riguarda la penitenza, al dovere di adempiere il precetto della confessione annuale (can. 989) corrisponde il diritto di ricevere dai sacri Pastori questo sacramento per non entrare in contraddizione con la chiamata a diventare sempre più un autentico discepolo di Cristo e con la dimensione fondamentale della Chiesa di essere santa.
Se la condizione per esercitare il proprio diritto di ricevere i sacramenti, soprattutto in modo efficace, è di aver prima ottenuto il perdono di Dio ed essersi riconciliati con la Chiesa (cann. 959; 843 §1), si pone il problema, o almeno un dubbio metodico, se anche per il sacramento della penitenza esista per i fedeli un diritto a ricevere il perdono dai sacri pastori, in quanto esso può essere compreso solo se visto nella linea della misericordia (LG 11) e non della giustizia.
Al sacramento della penitenza il fedele vi si accosta non ancora in grazia di Dio, benché sia pentito e consapevole della sua responsabilità di aver inferto una ferita alla Chiesa con il peccato. A differenza di altri sacramenti, con l’accentuazione della linea della misericordia, il sacramento della penitenza vuole dare rilievo nella percezione psicologica del fedele che il perdono ricevuto e la sua piena reintegrazione nella comunione ecclesiastica corrisponde alla gratuità radicale del dono.
Il fedele è sempre in bilico tra la santità che gli deriva dal battesimo e la capacità di peccare che non ha perso. Anche se il peccato lede la pienezza della comunione con la Chiesa, che sanziona il fedele allontanandolo dai sacramenti, la rottura che ne consegue non è piena. La chiamata universale dei fedeli alla santità (LG 39; 40,2) è rivolta a tutti e a maggior ragione ai peccatori ai quali la Chiesa non nega il diritto di rientrare nella piena comunione. Le porte della Chiesa sono sempre aperte.
Il dubbio di cui sopra, allora, è solo metodico in quanto il punto in questione vuole interessarsi dell’esercizio di un diritto e non di tematiche che attengono alla morale, per giungere a dire che la Chiesa esercita la misericordia di Dio la quale, se nel fedele è accolta come risposta soggettiva al dovere di condurre una vita santa, diventa giustizia davanti alla Chiesa.
Il diritto di essere in piena comunione con la Chiesa non trova un corrispettivo diritto a ricevere il perdono perché questo rimane esclusivamente nella linea della misericordia. Il fedele invece ha il dovere di ricevere questo sacramento. Il diritto indica solo quali sono le condizioni per adempiere tale dovere, come la disposizione interiore al pentimento sincero (cann. 959; 451), ma questo non deve essere confuso come un diritto a ricevere il perdono.