di Francesco Vermigli • Mancano pochi mesi al prossimo Convegno ecclesiale di Firenze (9-13 novembre 2015) e lentamente se ne delinea il profilo. Chi scrive già ha provato a dire qualcosa sulla questione in questa stessa rivista on-line (nel luglio del 2014); ora ritiene che a partire dagli sviluppi che ha avuto la preparazione al Convegno, si possa tornare a parlarne (donde l’“ancora” del titolo…). Il frutto più significativo prodotto in quest’ultimo anno è stato la pubblicazione della Traccia, offerta dal Comitato preparatorio con lo scopo di suscitare un’ulteriore discussione attorno al tema de’ «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Del documento si apprezzano la sinteticità delle argomentazioni e l’ampiezza dell’apparato iconografico; soprattutto la precisazione del tema, mediante la lettura dell’uomo odierno alla luce di Cristo.
Mi pare che siano propriamente quelle che vengono dette “cinque vie per l’umanità nuova” (ispirate all’enciclica di papa Francesco Evangelii gaudium), a suggerire ulteriori considerazioni. Di tutti i cinque verbi – “uscire”, “annunciare”, “abitare”, “educare”, “trasfigurare” – chiamati in causa per rendere conto di quali dovrebbero essere le piste dell’azione ecclesiale, l’ultimo mi pare ricolmo di significato. “Trasfigurare” pone a tema il primato del divino sull’umano, che gli altri verbi non sono in grado di salvaguardare pienamente: seppur collocato in ultima posizione, ha, per così dire, una priorità assiologica, dal momento che una Chiesa che non sia trasfigurata né esce, né annuncia, né abita, né educa, se non per parlare di se stessa e per annunciare se stessa. Non solo. “Trasfigurare” tocca con maggior decisione il rapporto tra l’uomo e il suo prototipo, Cristo Signore, e quindi, in ultima istanza, intercetta il tema del Convegno ecclesiale. Certo, nell’intenzione degli estensori della Traccia il riferimento primo va alla trasfigurazione che la vita sacramentale e liturgica procura alla Chiesa; ma in ultima istanza “trasfigurare” evoca Colui che è il motore di ogni possibile trasformazione nella comunità dei credenti.
E qui veniamo al punto, cui, in verità, già avevamo accennato nell’articolo di luglio. In che cosa Cristo trasfigura? Cristo dove conduce l’umanità? Potremmo rispondere che Cristo conduce a Dio. Meglio ancora, Cristo conduce l’uomo non semplicemente davanti a Dio, non semplicemente a contemplare Dio, ma propriamente a farsi Dio: secondo la celebre frase di sant’Ireneo, potremmo dire che Deus homo factus est ut homo fieret Deus. In Cristo, non viene indicata nessuna meta all’uomo che stia al di sotto di questo elevatissimo destino. In quest’ottica, allora, “trasfigurare” diventa sinonimo di “divinizzare”: se intesa in questi termini, l’ultima via dell’azione della Chiesa proposta dalla Traccia recupera quella linea della soteriologia cristiana, che pensa la venuta di Cristo come origine, causa e strumento della trasformazione divinizzante dell’uomo. A questo proposito, il 20 maggio si è tenuto a Firenze (organizzato dalla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, dall’Istituto Universitario Sofia e dall’Associazione Teologica Italiana) quello che potremmo definire una sorta di Convegno sul Convegno ecclesiale, intitolato a «In Cristo l’uomo nuovo». Fra le relazioni tenute, quella di Petrà ha preso spunto dalla differenza tra i titoli dell’assise del 20 maggio e di quella che si svolgerà a novembre, notando come appaia più coerente con il portato della rivelazione pensare che Cristo non tanto apra una nuova prospettiva di uomo – come sembra sia da intendersi “nuovo umanesimo” – ma dia all’uomo concreto la possibilità di essere “nuovo”.
Credo tuttavia si possa dire ancora qualcosa. Che si sia incarnata una sola delle tre persone della Trinità e non tutta la Trinità è dato di fede: all’inizio del VI secolo i monaci sciti giunti a Roma diranno – nella rozzezza di un latino non ben padroneggiato – che unus de Trinitate passus est carne. Facciamo un passo ulteriore. Ogni persona nella Trinità ha caratteristiche proprie: posso dire certamente che come lo è il Padre, è una persona il Figlio ed è una persona lo Spirito; ma non potrò dire che il Padre è una persona allo stesso modo in cui lo sono il Figlio e lo Spirito. Allora dovrò dire non solo che si è incarnata una delle persone della Trinità, ma che lo ha fatto proprio “quella”, cioè il Figlio. Tutto questo non può non avere riflessi nel cammino di trasfigurazione dell’uomo: sembra più corretto parlare non tanto di “divinizzazione”, quanto di “filiazione adottiva” dell’uomo. Nella potenza dello Spirito, l’uomo viene progressivamente condotto a trasformarsi nell’immagine del Figlio unigenito venuto nella carne; lo Spirito comunica all’uomo la grazia di conformarsi all’identità filiale di Gesù e a riconoscere un Padre che è “nostro”, perché in primo luogo è “suo”, cioè “di Gesù”. Considerazioni troppo astratte per un convegno ecclesiale? Forse. Gli è che abbiamo provato a prendere teo-logicamente sul serio le parole «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo» e alcuni spunti presenti nella Traccia. A meno che le parole del titolo di un convegno non abbiano alcun significato…