di Antonio Lovascio • Quando parla del suo pontificato, Francesco confessa una difficoltà di prospettiva: «Ho la vaga sensazione che sarà breve. ..Credo che il Signore mi abbia messo qui per poco tempo. Però è solo una sensazione, per questo lascio sempre le possibilità aperte…». Bergoglio ha da poco superato le 80 primavere e si appresta a vivere il quarto anno sul Soglio di Pietro. La sua grande forza carismatica ha introdotto un nuovo rapporto con il mondo che soffre, con la gente, e significativi cambiamenti nella Chiesa.
Ad esempio, con la riforma della Curia verrebbe a cadere l’epistilio montiniano che presidiava vari campi pastorali con una serie di organismi articolati, creati mezzo secolo fa da Paolo VI (determinante il supporto dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato Giovanni Benelli) per renderli più adeguati alla vita ecclesiale del post-Concilio. Il Consiglio dei nove cardinali che ora coadiuvano il Papa (il cosiddetto C9) ha già formalizzato la proposta di un nuovo “dicastero” (non è definito né congregazione né pontificio consiglio) chiamato attualmente “Carità, Giustizia e Pace”, e considera conclusa anche l’istruttoria sulla revisione di diverse congregazioni (Dottrina della fede, Culto divino, Cause dei santi, religiosi). Ma il cammino di questa Riforma incontra anche delle resistenze, denunciate con durezza dallo stesso Pontefice nel discorso a cardinali e vescovi della Curia Romana riuniti nella Sala Clementina per lo scambio degli auguri natalizi. Un tipo di resistenza, ha osservato, che si vela “dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie”, in coloro che si rifugiano “nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione”. Francesco vede pure “resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti alimentati dalle parole vuote del gattopardismo spirituale di chi si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima”.
La “sferzata” di Bergoglio fa sicuramente discutere, ma nell’episcopato si sono già alzate voci autorevoli, come quella dell’arcivescovo di Firenze card. Giuseppe Betori in risposta a chi amplifica i contrasti ecclesiali prendendo lo spunto dai “Dubia” espressi da quattro cardinali (Brandmüller, Burke, Caffarra, Meisner) su “Amoris laetitia”, l’Esortazione Apostolica sull’amore nella famiglia. < Al Papa si obbedisce, punto. Poi lo si interpreta, come è sempre stato nella storia, e questo fa emergere diverse sensibilità. Anche Giovanni XXIII e Paolo VI hanno subito contrapposizioni. Quello che è cambiato- aggiunge Betori – è la potenza dei mezzi di comunicazione: basta che un prete metta una frase su Facebook , gli amici la condividono, i Blog la riprendono…Da qui quella che sembra l’acutezza di certe posizioni. Ma Francesco, che invita a partire dalla realtà e non dai principi, nulla cambia nella dottrina e nella disciplina>.
Bergoglio sa benissimo che una Riforma non si fa accorpando alcuni dicasteri o creandone di nuovi. Per questo prima di attuarla nelle “strutture”, ha delineato la sua visione di Chiesa nel testo programmatico dell’Evangelii Gaudium, incarnato nell’azione quotidiana. Il Papa vuole dare una risposta alle sfide del mondo attuale: «un’economia dell’esclusione e dell’inequità nella società e tra i diversi popoli» che rende «impossibile sradicare la violenza» e produce la «cultura dello scarto»; «una globalizzazione dell’indifferenza», che si giova del potere soporifero della «cultura del benessere»; «la negazione del primato dell’essere umano», scalzato da «nuovi idoli», il «feticismo del denaro» e la «dittatura di un’economia senza volto»; «la speculazione finanziaria» e la «corruzione ramificata»; «il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio»; gli «attacchi alla libertà religiosa» e la «persecuzione dei cristiani»; «una diffusa indifferenza relativista»; il prevalere nella cultura dominante di ciò che è «esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio»; nell’ambito religioso l’emergere del «fondamentalismo» e di «spiritualità senza Dio», la crisi culturale profonda che attraversa la famiglia (EvG, 52-67).
Qualcuno storce il naso. Ma in realtà Francesco – come hanno commentato Andrea Riccardi e Marco Magatti sul “Corriere della Sera”- non fa altro che rispondere alla questione “culturale” già posta da Benedetto XVI: per contrastare l’asfissia della ragione in cui rischia di soffocare il mondo è necessario ridurre la distanza tra ruolo e persona, tra norma ed esperienza, tra astrazione e concretezza.
Concluso l’anno giubilare della Misericordia, fanno bene le Chiese locali a riprendere nel 2017 l’invito che il Papa, dal convegno di Firenze del novembre 2015, ha rivolto ai vescovi italiani: ad interrogarsi nelle loro Diocesi sull’Evangelii Gaudium. Da una vigorosa spinta dal basso può prendere corpo un vero “disegno teologico” di Riforma, seguendo la “rotta” che Bergoglio ha tracciato con umiltà, fermezza e serenità. La serenità che lo ha sostenuto in questi primi tre anni di Pontificato nel compiere passi a prima vista “impossibili”: la decisione di vivere a Santa Marta; la prima uscita ufficiale a Lampedusa; la messa celebrata sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti; la benedizione chiesta al patriarca ortodosso Bartolomeo; lo storico incontro con Fidel Castro, prima che morisse; un Sinodo sulla famiglia dove il metodo praticato è stato tanto importante quanto il risultato finale; la prima enciclica ecologica Laudato Si; le visite improvvisate ai poveri ed ai carcerati di Roma e quelle alle “periferie” del mondo; il viaggio in Svezia per ricordare Lutero; le lettere e gli incalzanti appelli ai Grandi per la pace in Siria e all’Europa per accogliere i disperati che fuggono dalle guerre. Con la certezza che un gesto autentico colpisce più di mille discorsi, e parla a tutti. Soprattutto ai giovani: il primo orizzonte pastorale bergogliano.