di Dario Chiapetti • Ignazio Schinella in Il segno di Giona. Per un’antropologia della Misericordia nell’epoca del post-umanesimo e della neuroscienza (Cantagalli, Siena 2016, 342 pp.) compie un’articolata riflessione antropologica alla luce degli elementi emergenti dal Vangelo e dal kairós attuale. Essa trae le mosse dalla visione sull’uomo, propria del Vaticano II, colto nella sua stretta connessione col mistero di Cristo e della Chiesa; passa in rassegna i vari modelli antropologici che si sono delineati a partire dalla modernità; traccia, volgendosi alla Scrittura e soprattutto all’evento pasquale, un’antropologia della Misericordia, trinitariamente impostata; presenta, in conclusione, alcuni interrogativi antropo-teologici sulla possibilità del riconoscimento di unioni aggregative non generative. Nel cuore della riflessione Schinella affronta la questione circa La liturgia “momento ultimo della storia di salvezza”, luogo di umanizzazione cristiana.
Nel quadro di un’antropologia così radicalmente fondata in senso comunionale e relazionale all’insegna della Misericordia quale espressione suprema della vita trinitaria, Schinella riconosce grande interesse al sacramento e alla liturgia, “spazio e tempo dell’incontro con la misericordia trasformante di Dio”.
Il teologo napoletano sviluppa il suo discorso a partire dalla nozione di “memoria”. Essa è anzitutto propria dell’amore trinitario verso l’uomo e in secondo luogo dell’uomo che nella liturgia fa l’esperienza di essere raggiunto da Dio: il popolo di Dio “può trovare nello spazio e nel tempo liturgico il genoma della sua vita […] il ricordo dell’amore trinitario del Padre e del Figlio, che versa nel cuore dell’uomo la stessa sorgente della misericordia”.
Continua Schinella: “Il segreto della Chiesa, più che processo in avanti, è memoria, cioè un riportare gli uomini indietro, davanti alla Croce e alla tomba vuota che proietta la Chiesa nel futuro”. È quindi in quell’experientia fidei del tornare a quell’evento passato originante la fede e che si rende presente nell’oggi – l’evento-Cristo -, che la Chiesa può ricevere quell’intelligentia fidei per comprendere se stessa e costantemente auto-progettarsi e auto-proiettarsi nel futuro, e realizzare così sempre più compiutamente la sua vocazione: quella di popolo sacerdotale pellegrinante a servizio della famiglia umana di cui fa parte, sempre in continuo discernimento, alla luce del Vangelo, delle istanze emergenti del tempo presente al fine di far fermentare più efficacemente la Parola di Dio in ogni uomo, donna e realtà umana.
Tale visione è fortemente radicata nel pensiero di papa Francesco: “La prima immagine – scrive Schinella – che Evangelii Gaudium offre del mistero della Chiesa è quella di comunità della memoria […] che genera quotidianamente il popolo e la famiglia di Dio come popolo in uscita, testimone incaricato di prolungare nella storia […] la vita pastorale della misericordia del Signore”.
Ora, “se è vero – prosegue l’Autore – che l’esortazione sembra non trattare ex professo della liturgia, questa sembra trasversalmente costituire il filo che la lega”. Esso è ravvisabile a ben guardare proprio in EG 24 quando si enunciano e si trattano i cinque passi del cammino della Chiesa in uscita: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e saper festeggiare: “non sono forse questi i passi della danza di Dio con l’uomo e della sua compagnia quotidiana nella liturgia?”.
La liturgia della Chiesa in uscita è anzitutto memoria dell'”iniziativa divina” della vita trinitaria autocomunicantesi attraverso la Parola di Dio e che fonda la possibilità per la Chiesa di celebrarla e che costituisce il criterio-guida per ogni azione liturgico-sacramentale. Tale iniziativa divina si concretizza in un “coinvolgimento nella storia umana”, come manifesta il carattere imprescindibilmente storico-comunitario di ogni liturgia. Tale coinvolgimento si attua mediante una “compagnia che […] condivide il cammino di ricerca dell’uomo”, come rivela l’itinerario che ogni anno liturgico, attraverso i suoi particolari tempi, il popolo di Dio percorre, e che è per l’uomo vera divina pedagogia d’accompagnamento dei suoi processi, in ordine all’approfondimento del mistero da cui esso è costituito, ovvero il mistero d’amore trinitario. Tale pedagogia deve andare “trasformando la nostra vita fino a farci bruciare dentro”, come rivela la spinta all’attualizzazione della sempre più piena conformazione della persona alla vita agapica divina, diffusiva per sé, che ogni azione liturgico-sacramentale ha per sua costituzione intrinseca e che mai deve essere affievolita. Infine essa costituisce (e deve costituire) il “fare festa [di Dio] con noi per la gioia del figlio perduto e ritrovato”, il luogo divino del gaudium della ricostituzione delle relazioni umane.
Ecco che l’uomo della Misericordia presentato da Schinella non può disgiungere – come già Benedetto XVI aveva osservato in Deus Caritas est – la fede, il culto e l’ethos della pro-esistenza. In particolare, tra i tre termini si deve stabilire un rapporto circolare – per il quale dall’uno derivano gli altri e l’uno scaturisce dagli altri – e di pericoreticità – per cui nell’uno vivono e agiscono gli altri.
Una liturgia così intesa – di una Chiesa in uscita dall’evento-Cristo verso il futuro della piena realizzazione “dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium 1) – è “la misura della teologia e solo essa ci insegna – più e meglio di ogni teologia – la divina semplicità del disegno divino, che irrompe nella vita dell’uomo e lo rende coinquilino dell’amore, partecipando la logica di Dio”.