Riconosciute le virtù eroiche del Cardinale Guglielmo Massaja

212 300 Mario Alexis Portella
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ao00010059di Mario Alexis Portella Il cardinal Guglielmo Massaja è Venerabile! Così la dichiarazione ufficiale della Congregazione delle Cause dei Santi del 2 Dicembre 2106, in quanto, il missionario cappuccino è stato riconosciuto da parte di Papa Francesco e del cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione. Il Massaja, come ho scritto per codesto “giornale on-line” l’anno scorso, è probabilmente uno dei più fraintesi missionari cattolici dei tempi moderni. Su di lui sono state espresse valutazioni, sulla base di pregiudizi, ingiusti ed immeritati. Egli è stato accusato di disprezzo verso la popolazione indigena perché avrebbe cercato di eliminare il rito Ghe’ez durante i suoi 25 anni di missione in Abissinia, incoraggiando, di conseguenza, la colonizzazione italiana dell’Eritrea a partire dal 1890, e spianando così la strada all’invasione dell’Etiopia del 1935. A causa di questi pregiudizi, il processo di beatificazione, che iniziò nel 1914, 15 anni dopo la sua morte, é stato bloccato.

Nel 1700, la Chiesa di Roma iniziò, dopo il fallimento dei Gesuiti del 17°, secolo una lunga serie di tentativi per riavviare l’attività missionaria. Il 24 giugno 1788, infatti, Tobia Giyorgis Ghebre Egziabiher, in precedenza monaco della Chiesa Ortodossa, fu consacrato vescovo di rito greco orientale ma, tuttavia, restò fedele al suo rito Ghe’ez, anche quando fu nominato da Papa Pio VI come Vescovo titolare di Adulis e Vicario Apostolico di Etiopia.

Mons. Tobia trascorse 8 anni nel paese, ma fu oggetto di una continua persecuzione, per cui fu costretto a fuggire in Egitto, dove morì di peste nel 1801.

Massaja poté riprendere e sviluppare questa opera missionaria soltanto 45 anni più tardi, quando fu nominato Vescovo del Vicariato Apostolico dei Galla, espressamente creato da Papa Gregorio XVI. Il territorio del Vicariato comprendeva l’intera metà del Sud Etiopia, mentre la metà del Nord costituiva il Vicariato Apostolico d’Abissinia, affidato al missionario Lazzarista S. Giustino De Jacobis.

Parte delle virtú eroiche riconosciutegli ricalcavano l’austeritá dei monaci antichi, ad es., si recava da un luogo all’altro a piedi scalzi, non di rado attraverso terreni rocciosi o ricoperti di spine pungenti e si trovò a dover dormire di notte nel deserto, tra due fuochi, per proteggersi dagli animali selvatici. Mons. Massaja imparò la lingua indigena in modo da essere il più vicino possibile al popolo. A volte viaggiava in incognito, travestito da commerciante così da poter acquistare schiavi indigeni al fine di rendere loro la libertà. Una delle caratteristiche distintive di questo uomo santo fu che, come gl’infermieri professionali in un mondo privo di ospedali e medici, egli divenne effettivamente il solo medico che potesse prestare l’aiuto necessario per guarire gli indigeni affetti da malattie contagiose. Quest’opera più di una volta gli è quasi costata la vita. Il mondo globale di oggi che “é ostaggio del materialismo”, come ha detto il Vescovo di Roma, si chiede, “come mai un uomo potè fare tutto questo?”

Nel suo messaggio di Natale del 2016, Elizabetta II, citando l’esempio di Santa Teresa di Calcutta, ha detto: «Non tutti noi possiamo fare cose grandi, ma tutti noi possiamo fare cose piccole con gran amore». La regina inglese ha aggiunto: «…l’esempio di Cristo [ci] aiuta a vedere il valore di fare le piccole cose con gran amore…l’amore é piccolo ma sempre cresce». E’ questo fu l’esempio del Cardinale Guglielmo Massaja. L’amore del Signore che lo ispiró a fare le piccole cose con grande amore ci serve e ci ispira a vedere Gesú nel prossimo ed accoglierlo nei nostri cuori e nella nostra societá. Speriamo che tra un po’, possiamo dire: «San Guglielmo Massaja, prega per noi!»

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