Romano Guardini. Riforma nella continuità
Romano Guardini fu personaggio originale nel panorama della cultura novecentesca: nato in Italia, ma ben presto divenuto cittadino tedesco, rappresenta in virtù anche della città di origine – Verona, dove l’Adige unisce il mondo teutonico con la Pianura Padana e l’Italia – la simbiosi tra due indoli distantissime, eppure nella loro storia sempre in continuo dialogo: il genio germanico e quello italiano, che fondendosi nel Guardini danno luogo ad una cultura mai inutilmente erudita, ad un linguaggio teologico sempre solare e ad un tempo preciso. Ora, pare proprio sia la cifra della riforma ciò che connota in profondità il pensiero di Guardini, un pensiero che si fa poi in maniera naturale vita e impegno educativo.
La liturgia deve essere riconosciuta come dono, come gratuità, come gioco: riformare la liturgia significa allora tornare a comprenderla in questo modo, cioè come espressione pienamente umana di qualcosa che viene donato da Dio. Rinnovare la liturgia, nell’ottica del Guardini, significa acquistare consapevolezza che essa è manifestazione dell’azione salvifica preveniente di Dio, resa in linguaggio e in gesti del tutto umani. La riforma della liturgia, dice il sacerdote italo-tedesco, come ogni riforma all’interno della Chiesa non agisce per cambiamenti di forme, di strutture e di aspetti esteriori, ma agisce in profondità: per approfondimento, cioè, di senso e di valore. Per questo lo “spirito della liturgia” non conosce né strattoni né stagnazioni, né fughe in avanti né restaurazioni: agisce per progressiva comprensione dell’interiore realtà umano-divina che la connota.
Nel 1964, a pochi anni dalla morte, in pieno Concilio, si rivolse al Congresso liturgico riunito a Magonza, domandando se la liturgia sia così legata al passato della Chiesa da doverla abbandonare, oppure se essa abbia a che fare con l’essenziale dell’uomo. Se essa ha a che fare con l’essenza dell’uomo, come pare, la misura di ogni riforma della liturgia sarà la corrispondenza all’essenza corporea e spirituale dell’uomo e alla priorità dell’azione di Dio nella storia. Ma, a ben vedere, sembra proprio che questa corrispondenza sia la misura di ogni riforma ecclesiale.