Un mondo che progredisce solo nelle disuguaglianze
Ad oggi, secondo i calcoli fatti da Oxfam, gli otto uomini più ricchi del mondo (Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffett, Carlos Slim Helu, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Michael Bloomberg) possiedono 426 miliardi di dollari, mentre i 3,6 miliardi di abitanti più poveri della terra ne possiedono appena 409. Non sono cifre raccolte da Oxfam, ma provengono da due fonti molti diverse. L’amministratore delegato di una delle cento aziende più grandi quotate in borsa a Londra guadagna in un anno quanto diecimila lavoratori di una fabbrica tessile del Bangladesh.
Una ricerca dell’economista Thomas Piketty mostra che negli ultimi trent’anni la crescita dei salari del 50 per cento della popolazione mondiale è stata pari a zero, mentre quella dell’1 per cento della popolazione mondiale è aumentata del 300 per cento.
Perché esiste la disuguaglianza?
Ogni due giorni nasce un nuovo miliardario: ma a fare le spese sono i più poveri e vulnerabili, molto spesso donne. Il costante incremento dei profitti di azionisti e top manager infatti corrisponde a un peggioramento altrettanto costante dei salari e delle condizioni dei lavoratori. Perché? I colpevoli principali sono:
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La forte influenza esercitata da portatori di interessi privati, capace di condizionare le politiche dei governi.
“È necessario un profondo ripensamento – secondo Oxfam – dell’attuale sistema economico che fin qui ha funzionato a beneficio di pochi fortunati e non della stragrande maggioranza della popolazione mondiale”. “I servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione subiscono tagli, ma a multinazionali e super ricchi è permesso di eludere impunemente il fisco. La voce del 99 per cento della popolazione rimane inascoltata perché i governi mostrano di non essere in grado di combattere l’estrema disuguaglianza, continuando a fare gli interessi dell’1 per cento più ricco: le grandi corporation e le élites più prospere”, così Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia.
Come non pensare a proposito alle coraggiose prese di posizione di Papa Francesco: «Se prevale come fine il profitto, la democrazia tende a diventare una plutocrazia in cui crescono le diseguaglianze e anche lo sfruttamento del pianeta» che individua «due cause specifiche che alimentano l’esclusione e le periferie esistenziali»: la diseguaglianza e lo sfruttamento.
In questo scenario nel mondo e anche in Italia si propone di abbassare le tasse e di introdurre un’aliquota unica, tra l’altro in contrasto con l’art. della Costituzione che prevede: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Dunque l’articolo 53 della Costituzione sostiene che l’imposta che i cittadini sono tenuti a versare è proporzionale all’aumentare della loro possibilità economica. In altre parole, l’imposta cresce con il crescere del reddito. Il rilievo del criterio di progressività risiede nel gravare sulle classi sociali più abbienti così da poter soccorrere e sostenere le classi sociali in difficoltà, garantendo i diritti e i servizi sociali fondamentali quali la pubblica istruzione, l’assistenza sanitaria, la previdenza sociale e l’indennità di disoccupazione, criteri sui quali si basa lo Stato Sociale Italiano.
Non sto qui ad entrare nel merito delle singole proposte ma osservo che i più seri economisti, non al soldo dei politici, sostengono che a beneficiare dell’aliquota unica sarebbero soprattutto i ricchi. In oltre le proposte lascerebbero non finanziata una quota rilevante del gettito Irpef attuale pur tenendo conto di un ottimistico recupero totale dell’evasione. Inoltre, la classe di reddito più elevata beneficerebbe del risparmio di imposta in misura di gran lunga maggiore rispetto alle altre. E questo è confermato anche dai dati che abbiamo visto all’inizio.