Cinque «sì» per una nuova evangelizzazione. Note su un discorso del cardinale Schönborn
di Andrea Drigani • Il Codice di Diritto Canonico al can.211 dice: «Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si diffonda sempre di più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo» («Omnes christifideles officium habent et ius allaborandi ut divinum salutis nuntium ad universos homines omnium temporum ac totius orbis magis magisque perveniat»). Questa norma ci rammenta che partecipare all’evangelizzazione, che costituisce l’opera primaria della Chiesa, non è, per ogni battezzato, qualcosa di opzionale, bensì di obbligatorio, ovviamente, ciascuno, secondo le proprie capacità e competenze. Il cristiano sa di essere nella storia (il «tempo») e nella geografia (il «luogo»), per aiutare a far sì che ad ogni persona possa giungere il messaggio di Gesù Salvatore. Queste riflessioni mi sono ritornate alla mente leggendo il discorso che il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha tenuto il 10 dicembre 2014, nel Duomo di Milano, invitato dal cardinale Angelo Scola, per un incontro dal titolo: «La Chiesa nella società secolarizzata». L’arcivescovo di Vienna ha esordito accennando alla situazione della sua diocesi, osservando che la decrescita dei cattolici è drammatica («Siamo sotto il quaranta per cento e tra non molto arriveremo al trenta per cento»). Tutto ciò, ha aggiunto, non può non provocare umiliazione e scoraggiamento. Ha altresì notato che a Vienna quasi il sessanta per cento di matrimoni finiscono in divorzio e la famiglia cristiana non rappresenta oggi la normalità, bensì l’eccezionalità. «Penso – ha detto il cardinale Schönborn – che il Signore ci abbia condotto su un cammino in cui chiede di non concentrarci su problemi, ma di ricordarci ciò che Dio fa per noi». Ha, inoltre osservato che la condizione della nuova evangelizzazione sia cambiare lo sguardo, guardare altrove. L’essere deboli, cioè l’essere una minoranza, non vuol dire essere una setta. Ed ha, pertanto, formulato cinque «sì» per delineare una nuova evangelizzazione. Il primo «sì» è all’oggi del nostro tempo, lasciando da parte la nostalgia degli anni Cinquanta e Sessanta, quando chiese ed oratori, erano pieni. La nostalgia, come si sa, è quello stato d’animo corrispondente al desiderio pungente o al rimpianto malinconico (prossimo alla depressione) di quanto è trascorso o lontano; talvolta, però, si ha la sensazione che qualcuno abbia addirittura un’impossibile nostalgia per una Chiesa che non è mai esistita. Il secondo «sì», ha continuato l’arcivescovo di Vienna, è un «sì» consapevole deciso a quella che è la nostra realtà: il lasciare tante cose, il veder morire cose che amiamo. Molte cose moriranno, ma Dio ci ama nel nostro contesto. Lo studio sulla storia del popolo d’Israele in esilio diviene una scuola tremenda e formidabile per noi. Dobbiamo, perciò, essere capaci di vedere i segni buoni nel nostro tempo. Il terzo «sì» è alla nostra vocazione comune di battezzati, come ci rammenta la Costituzione «Lumen Gentium» del Concilio Vaticano II. L’evangelizzazione la fanno i veri cristiani, perchè la loro vita è una testimonianza. San Francesco diceva: «annunciate a tutti il Vangelo, se necessario anche con le parole». Affermava questo perché era un vero cristiano, cioè uno che è di Cristo. Il quarto «sì» è per una Chiesa che impara gradualmente a essere in diaspora, ma in una diaspora feconda. La diaspora vuol significare la dispersione, non necessariamente provocata da una forza esterna, di un popolo e delle sue istituzioni nel mondo. La vita cristiana in diaspora – ha osservato il cardinale Schönborn – è una vita di rappresentanza, nel senso di vivere la fede non solo per noi, ma anche per gli altri. Essere cristiani nella città secolare è essere rappresentanti. Il quinto «sì» è al nostro ruolo per la società, anche se siamo minoranza. Nonostante siamo pochi – ha sostenuto l’arcivescovo di Vienna – abbiamo il ruolo del sale. Le nostre parrocchie, le nostre comunità, i nostri movimenti, le nostre associazioni, sono una grande rete di carità, di misericordia, di coscienza sociale. Quanto più la rete della società civile diventa debole, tanto più importante diventa la testimonianza cristiana nel nostro mondo. Il realismo, sembra essere la conclusione del cardinale Schönborn, non può originare il pessimismo (che è ciò che di più lontano possa esistere dal cristianesimo), bensì lo slancio per un rinnovato annuncio della Buona Novella agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo, secondo quello che la migliore tradizione della Chiesa ci ha sempre insegnato.