di Stefano Liccioli• Servire, uscire da sé, stare, dedicare del tempo e mistero. Mi sono sembrati questi i concetti chiave su cui ruota il messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale del Malato che si celebra l’11 febbraio 2015. Il testo del Santo Padre è molto chiaro e non ha bisogno di particolari riassunti o spiegazioni. Mi preme allora condividere alcuni spunti di riflessione offerti da questo messaggio, a partire da quei concetti sopracitati e che esplicitano, a mio avviso, cos’è la “sapientia cordis”, la sapienza del cuore di cui il Pontefice parla nel suo scritto. In questi mesi si parla molto di nuovo umanesimo. Un vero umanesimo non potrà non tenere conto di questa sapienza, «un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio».
Servire. Tempo fa’ un esponente politico si scagliò contro quelle pubblicità in cui si vedono le donne che servono a tavola marito e figli. Sarebbe, a suo parere, un segno di discriminazione femminile. Polemiche che lasciano il tempo che trovano, frutto di un femminismo esasperato, ma che allo stesso tempo nascondono una certa considerazione che a volte è riservata al servizio, al mettersi a disposizione degli altri. Siamo sempre più tentati dal delegare qualcun altro al posto nostro (gli specialisti del servizio) quando si tratta di chinarsi a lavare i piedi al fratello, ad essere solidale con lui senza giudicarlo per quello che è o per quello che fa. Mi tornano in mente le parole di Madelein Delbrel che, in una sua splendida preghiera, dice di voler girare il mondo con un catino (come quello dell’Ultima cena) e ad ogni piede cingersi dell’asciugatoio e curvarsi in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, del carcerato, dell’omicida, di chi non la saluta più, di quel compagno per cui non prega mai.
La vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro.
Uscire da sé. E’ questa un’idea cara a Papa Francesco che chiede a tutta la Chiesa di uscire per andare incontro alle persone, verso le periferie dell’esistenza. Il nostro mondo c’imprigiona nelle tante cose da fare, siamo assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. Per far questo non sono richieste doti o azioni particolari. Basta saper spezzare un po’ del nostro tempo ed offrirlo in dono ai fratelli, stando accanto a loro. Quante volte ci accorgiamo che i malati chiedono persone capaci di starli accanto, non solo per un discorso di assistenza, ma soprattutto per un accompagnamento, tante volte silenzioso. Essi cercano dei Cirenei pronti a camminare con loro sulla strada della sofferenza, capaci di farli sentire amati e confortati. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo, ci ricorda il Papa, anche perché c’è quella parola del Signore che dice che ogni cosa fatta ad uno dei fratelli più piccoli, l’abbiamo fatta a Lui (Mt 25,40).
Il Santo Padre sottolinea anche il valore fondamentale della gratuità. Nella nostra società, soprattutto tra i giovani, è sempre più difficile far capire che si può fare qualcosa per gli altri senza chiedere un compenso in cambio. In certe occasioni capita che quando si aiuta qualcuno ci si senta chiedere: “Quanto ti devo dare?”. Basterebbe un grazie. La gratuità può spaventare infatti, rompe gli schemi. Riuscire a monetizzare un aiuto ci tranquillizza invece.
Non è raro inoltre che paradossalmente la gratuità sia guardata con sospetto. Sembra farsi strada l’idea che Ignazio Silone faceva dire ad uno dei “cafoni” in Fontamara:«Se è gratis, è un inganno». Infine il mistero. Il dramma del dolore umano, specialmente quello innocente, porta con sé grandi interrogativi, la cui unica risposta è quella d’amore rappresentata dalla Croce di Gesù, “atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso”.
Cominciamo allora a fare nostro, a vivere in prima persona il tema di questa XXIII Giornata Mondiale del Malato:«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29,15).