La Lettera Apostolica “Misericordia et misera” nella chiusura dell’Anno Giubilare

600 370 Francesco Romano
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1479636913519-vatican_holy_year_rain__1_-864x400_cdi Francesco Romano • L’anno giubilare si è appena concluso con la chiusura della Porta Santa nelle Chiese particolari di tutto il mondo. La settimana successiva, nella solennità di Cristo Re dell’universo, il Papa ha chiuso la Porta Santa della Basilica di San Pietro e, al termine della celebrazione della Messa, in una piazza gremita di fedeli, ha firmato la Lettera Apostolica “Misericordia et misera”.

La Lettera Apostolica, pur riconoscendo i frutti già evidenti che ha prodotto questo anno giubilare, non intende fare un bilancio di risultati conseguiti, bensì esprimere un ringraziamento ed esortare a ripartire dal Vangelo per cogliere nell’immagine dell’incontro tra Gesù “Misericordia” e la “misera” peccatrice, tratteggiata da San Agostino, l’icona di quanto è stato celebrato nell’Anno Santo. La Misericordia costituisce l’esistenza stessa della Chiesa perché “tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre”. Ripartendo dalla propria identità, la Chiesa deve continuare a celebrare nelle comunità la misericordia come esigenza permanente della sua esistenza.

Il perdono è l’imperativo dell’amore che rende visibile l’amore del Padre come Gesù l’ha rivelato in tutta la sua vita. Nessuno può porre condizioni alla misericordia, quale atto di gratuità, dal momento che nessun peccatore pentito rimane escluso dall’abbraccio del perdono del Padre, come ha dimostrato Gesù sulla croce nell’atto supremo raccomandando al Padre il perdono per coloro che lo uccidevano. Come per le due donne peccatrici presentate dal Vangelo il perdono ha suscitato gioia, così “la misericordia suscita gioia perché il cuore si apre alla speranza di una vita nuova”.

Al giorno d’oggi l’incertezza per il futuro è dovuta anche alla mancanza di stabilità. La gioia di un cuore toccato dalla misericordia produce testimoni di speranza e di gioia vera che aiutano a superare sentimenti di malinconia, tristezza e noia. A conclusione del giubileo il Papa ci chiede di continuare a celebrare la misericordia nella liturgia dove essa viene ripetutamente evocata, realmente ricevuta e vissuta. Nella vita sacramentale la misericordia ci viene data in abbondanza soprattutto nella celebrazione eucaristica e nei sacramenti della “guarigione”; nella preghiera della Chiesa la misericordia ci viene concessa mentre la invochiamo; nell’ascolto della Parola di Dio ripercorriamo la storia della nostra salvezza attraverso l’opera di misericordia che ci viene annunciata. Per ogni presbitero la credibilità del suo sacerdozio è sostenuta dalla sua capacità di comunicare la certezza che Dio ci ama. Il Papa vede in un’omelia ben preparata lo strumento appropriato per annunciare la misericordia con un risultato tanto più fruttuoso se il sacerdote l’avrà prima sperimentata su di sé.

La celebrazione della misericordia divina culmina particolarmente nel Sacrificio Eucaristico, ma nel sacramento della Riconciliazione sentiamo l’abbraccio del Padre: “la grazia ci precede e assume il volto della misericordia che si rende efficace nella Riconciliazione e nel perdono”. Il servizio pastorale dei Missionari della Misericordia ha reso evidente che Dio non pone confini a chi lo cerca con cuore pentito. Il papa nel mostrare gratitudine per chi si è impegnato in questo ministero straordinario ha disposto che esso non si concluda con la chiusura della Porta Santa, ma che permanga fino a nuova disposizione come segno che la grazia del Giubileo continua a essere viva ed efficace.

Il Papa guarda ai sacerdoti non solo come ministri di misericordia, ma anche come penitenti che fanno esperienza di questo sacramento. Anzi, proprio su questo punto fa leva l’esortazione rivolta ai sacerdoti a essere magnanimi nel fare tesoro della presenza del penitente che ricorrendo al ministero del confessore lo richiama alla sua stessa condizione personale, “peccatore, ma ministro di misericordia”. L’auspicio del Papa è che sempre di più i sacerdoti mettano la loro vita al servizio del ministero della Riconciliazione perché nessuno che è sinceramente pentito possa trovare ostacoli per accedere all’amore del Padre.

Per dare concreta possibilità di attuazione a questa esigenza, il Papa estende oltre il periodo giubilare a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere dal peccato di aborto e di rimettere la pena della scomunica, “fino a nuove disposizioni in proposito”. Su questo punto la divulgazione operata dalla stampa ha banalizzato in modo ridicolo e fuorviante la decisione del Papa nonostante la sua ferma dichiarazione: “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente”. L’aborto è un peccato, ma è anche un delitto che, una volta conseguito l’effetto, comporta la scomunica “latae sententiae” riservata all’Ordinario del luogo in favore dei propri sudditi o di coloro che si trovano nel suo territorio o vi abbiano commesso il delitto, ma anche a qualsiasi Vescovo solo nell’atto della confessione sacramentale (can. 1355 §2). La scomunica può essere rimessa anche dal canonico penitenziere in forza dell’ufficio (can. 508 §1) e, per privilegio mai revocato, dai presbiteri appartenenti agli Ordini mendicanti; inoltre, in pericolo di morte da qualsiasi sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le confessioni (can. 976), salvo l’obbligo di ricorrere al Superiore competente in caso di guarigione (can. 1357 §3). Il Papa, derogando a questi canoni del Codice di Diritto Canonico, “fino a nuove disposizioni”, estendendo a ogni sacerdote la facoltà di rimettere la pena della scomunica dal delitto di aborto, vuole incoraggiare a prendere coscienza del peccato e a cercare ogni occasione propizia per distruggerlo: “Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi col Padre”.

La misericordia viene messa anche in relazione alla consolazione perché tutti ne hanno bisogno e nessuno è immune dalla sofferenza. “L’esperienza della misericordia ci rende capaci di guardare le difficoltà umane con l’atteggiamento dell’amore di Dio” sia di fronte all’esperienza coniugale e familiare, ma anche di fronte alla storia della nostra vita fatta di gioie e dolori. Anche la morte va recuperata nel suo significato più profondo come estremo atto di amore verso le persone che ci lasciano e verso Dio a cui si va incontro. Con la preghiera delle esequie viviamo la speranza per l’anima del defunto e la consolazione per il distacco dalla persona amata.

L’Anno Santo ha realizzato tanti segni concreti di misericordia che hanno portato a riscoprire la gioia della condivisione e la bellezza della solidarietà, ma la Chiesa deve essere pronta a individuare nuove opere di misericordia di fronte a nuove forme di povertà spirituale e materiale. Questa Lettera Apostolica offre lo spunto per alcune iniziative come segno di continuazione della grazia di questo anno giubilare: diffusione della conoscenza della Parola di Dio dedicando interamente ad essa una domenica dell’anno liturgico (n. 7); intensificare l’azione pastorale per accompagnare i fedeli nel momento della morte (n. 15); dare segni concreti di carità alle opere di misericordia (n. 19); celebrare in tutta la Chiesa la Giornata mondiale dei poveri nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (n. 21). E’ in questo grande contesto di misericordia e carità che il Papa estende a tutti i presbiteri la facoltà di continuare ad assolvere dal peccato di aborto, anche ai presbiteri delle Fraternità di San Pio X (n. 12).

Siamo chiamati a far crescere la cultura della misericordia basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri, nella preghiera assidua e nella docilità allo Spirito Santo. In questo modo si supera la tentazione di fare la “teoria della misericordia” solo se riusciamo a calarla nella partecipazione e condivisione della vita quotidiana.

L’esperienza del Giubileo ci porta a condividere con i fratelli sofferenti quanto abbiamo ricevuto e a far giungere a tutti la carezza di Dio attraverso la testimonianza dei credenti per ripetere con l’Apostolo Pietro: “Un tempo eravate esclusi dalla misericordia; ora, invece, avete ottenuto misericordia” (1Pt 2,10).

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Francesco Romano

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