di Francesco Romano • Lo stato giuridico dei fedeli cristiani appartenenti al Popolo di Dio non indica separazione o supremazia rispetto ad altri contesti umani che ne sono fuori, anzi esso deve renderci alieni da qualsiasi tentazione di chiusura, cosa che sarebbe contraria alla natura missionaria della Chiesa e alla sua funzione salvifica universale. I catecumeni, per esempio, pur non essendo ancora nella piena comunione, sono congiunti alla Chiesa in modo speciale e, pertanto, non possiamo negare che abbiano anche loro una posizione giuridica con gli effetti che in tal senso ne conseguono. Di questo se ne fa premura il Decreto conciliare “Ad Gentes” nell’esortare “affinché nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato giuridico dei catecumeni perché essi sono già congiunti alla Chiesa, appartengono già alla famiglia del Cristo e spesso conducono una vita già ispirata alla fede, alla speranza e alla carità” (AG 14).
L’individuazione dello status giuridico del catecumeno sollecitato dal citato Decreto conciliare corrisponde alla determinazione di diritti e doveri da riconoscere anche a coloro che ancora non sono battezzati, ma che neppure possono essere ritenuti infedeli per la loro manifesta volontà di fare un primo passo che li introduca nel percorso del catecumenato. Avendo in qualche modo già ricevuto il dono della fede, la Chiesa li considera prossimi ad essa.
Resta fermo che il catecumeno nella Chiesa non è ancora divenuto un soggetto con titolarità giuridica di cui soltanto il battesimo ne è la scaturigine e mediante esso è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, cioè soggetto di relazioni giuridiche fatte di diritti e obbligazioni (can. 96). Al tempo stesso “i fedeli sono coloro che sono stati incorporati a Cristo mediante il battesimo” (can. 204 §1). I catecumeni, invece, sono coloro che mossi dallo Spirito Santo chiedono di essere incorporati alla Chiesa e “per questo desiderio, come pure per la vita di fede, speranza e carità che essi conducono, sono congiunti alla Chiesa, che già ne ha cura come suoi” (can. 206 §1).
La distinzione nel testo conciliare (AG 14) e nel Codex dell’uso dei termini “incorporare” e “congiungere” segna la distinzione tra l’essere cristiano o catecumeno al quale manca il fatto della incorporazione, mentre “per un titolo particolare” è già congiunto alla Chiesa (can. 206 §1).
Per la titolarità di alcuni diritti e doveri, in dottrina si riconosce ai catecumeni una “soggettività giuridica secondaria” che consente al battezzando di trovare il suo posto nella Chiesa, essendone già congiunto, di partecipare alla vita dei cristiani e di intessere iniziali relazioni giuridiche nell’esercizio della fede e della carità, di partecipare ad alcune azioni liturgiche e svolgere attività di apostolato. Per contro, non è consentito al catecumeno di accedere ad associazioni pubbliche di fedeli perché esse operano nomine Ecclesiae (can. 116 §1) mentre il battezzando non si trova ancora nella piena comunione con la Chiesa e non può soddisfare i requisiti previsti dal can. 316 §1.
Pertanto, se è vero che nella Chiesa il non battezzato non è ancora persona, intesa come categoria relazionale di tipo giuridico (can. 96), a esso è attribuita una personalità incipiente detta appunto “incoativa” con alcuni diritti e doveri iniziali in virtù della loro ordinazione a far parte del Popolo di Dio e della Chiesa (LG 13). Proprio su questo punto la distinzione tra lo status giuridico del battezzato e del catecumeno è ancora rimarcato nel Codex con il differente uso terminologico per cui mentre al battezzato sono riconosciuti i diritti, per il catecumeno si parla di prerogative come ad esempio al can. 206 §2 dove si legge “già ad essi elargisce diverse prerogative”; e al can. 788 §3 “quali prerogative si debbano loro riconoscere”.
L’incipiente personalità del catecumeno prende l’iniziale forma giuridica nel riconoscimento di alcune attribuzioni nel momento in cui esprime il desiderio di ricevere il battesimo ed entrare nella Chiesa cattolica. Innanzitutto come il diritto all’istruzione e al tirocinio della vita cristiana, l’iniziazione al mistero della salvezza e l’introduzione a vivere la fede, la liturgia, la carità del popolo di Dio e l’apostolato (can. 788).
Al catecumeno, se possiede tutti i requisiti, è riconosciuto il diritto di ricevere il battesimo avente come fonte l’universale convocazione di Dio a far parte del suo Popolo e, in modo più specifico, la volontà fondazionale di Cristo espressa nell’istituire la Chiesa per ogni uomo senza discriminazioni e nell’inviarla ad annunziare il messaggio evangelico e a battezzare. Da qui ne deriva che la relazione dei non battezzati con la Chiesa, seppure a livello iniziale, si fonda sul loro riconoscimento come soggetti di attribuzioni giuridiche di rilievo costituzionale.
La Chiesa ha il dovere di accompagnare il catecumeno nel suo percorso formativo, così come il diritto-dovere di giudicare la preparazione dei battezzandi e, infine, l’obbligo di ammetterli al battesimo se ne hanno tutti i requisiti.
Il diritto del non battezzato di entrare a far parte del Popolo di Dio si integra con il diritto di essere immune dalla costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la sua volontà (can. 748 §2). In questo diritto non deve essere colto soltanto l’effetto negativo, cioè l’assenza di giurisdizione della Chiesa sul non battezzato (can. 11). Il dato positivo, invece, deriva dalla stessa natura umana la cui libertà religiosa appartiene alla dignità della persona (DH 3), deriva anche dalla natura della chiamata divina che si indirizza alla responsabilità dell’uomo e quindi alla sua libertà (DH 3).
Il can. 788 §3 rimanda al diritto particolare, ovvero alle Conferenze Episcopali, la potestà di definire quali siano le prerogative e i doveri dei catecumeni. Inoltre, il can. 1183 §1 annovera tra i fedeli anche i catecumeni relativamente alla celebrazione delle esequie. Questa prerogativa viene riconfermata dall’Ordo Initiationis Christianae Adultorum (OICA) 14 bis, avendo già ricevuto il dono della fede. Anche le benedizioni possono essere impartite ai catecumeni (can. 1170), mentre l’ OICA 102 ne specifica il beneficio spirituale: “si offrano ai catecumeni anche quelle benedizioni che significano l’amore di Dio e la viva sollecitudine della Chiesa perché, mentre sono ancora privi della grazia dei sacramenti, possano ricevere dalla Chiesa incoraggiamento, gioia e pace per la prosecuzione del loro laborioso cammino”. Per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio tra un cattolico e un catecumeno si seguirà la forma canonica (can. 1108) come prevedono i cann. 1059 e 1117. Si tratta di un matrimonio non sacramentale che necessita la dispensa dall’impedimento di cultus disparitas (can. 1086 §1). Circa il matrimonio tra catecumeni o tra un catecumeno con una persona non battezzata l’OICA 18 sembra cadere in una incongruenza giuridica rispetto ai cann. 1059 e 1117 estendendo la forma canonica a soggetti non battezzati nel rinviare al Rito del Matrimonio.
Il catecumeno, pur non essendo ancora persona nella Chiesa, gode della soggettività giuridica che gli deriva dalla condizione umana secondo la legge divina e naturale come per esempio la capacità processuale di agire in giudizio in un tribunale ecclesiastico (can. 1476). Inoltre, anche il catecumeno, se sposato con una persona battezzata, può chiedere al Papa la dispensa super rato (can.1142). Anche chi non è battezzato, non essendo presente nel Codex un espresso divieto, ha la capacità di impetrare un rescritto (can. 60), di amministrare il battesimo in caso di necessità (can. 861 §2) e la capacità di testimoniare nel processo (can. 1549).
In conclusione, il Codex Iuris Canonici, “essendo strumento che corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica” (Cost. ap. Sacrae disciplinae leges) ha dato un inquadramento giuridico del catecumenato con alcune norme di diritto universale e, attraverso il can. 788 §3 nello spirito del Decreto conciliare Ad Gentes, ha demandato alla Conferenze Episcopali il compito di emanare statuti per ordinare il percorso del catecumenato determinandone gli obblighi e le prerogative. Non sono più le terre di missione l’interesse prevalente, ma anche la nostra società, così variegata e multietnica, dove in tante parti la fede si è spenta, ma per altri versi trova nuove adesioni. Le esperienze giuridiche condivise che hanno portato a formulare i vari pronunciamenti delle Conferenze Episcopali possono essere l’inizio di un nuovo percorso giuridico de iure condendo.