Le due grandi domande di Gesù ai discepoli. Le risposte di Francesco

Papa-a-Firenze-allo-stadio-la-Chiesa-come-Gesu-vive-in-mezzo-alla-gente-e-per-la-gente_articleimagedi Stefano Tarocchi • L’omelia di papa Francesco nella sua celebrazione allo stadio fiorentino Artemio Franchi – luogo per sé stesso, ha detto, che ricorda alla Chiesa, che «come Gesù, vive in mezzo alla gente e per la gente», – ha seguito lo stringente filo narrativo di Matteo, il discepolo divenuto scrittore, commentando il brano del suo Vangelo che la liturgia assegna alla memoria di s. Leone Magno.

Anche perché i «discepoli di Gesù non devono mai dimenticare da dove sono stati scelti, cioè tra la gente, e non devono mai cadere nella tentazione di assumere atteggiamenti distaccati, come se ciò che la gente pensa e vive non li riguardasse e non fosse per loro importante». Si tratta della stessa ansia apostolica di s. Leone, «che tutti potessero conoscere Gesù, e conoscerlo per quello che è veramente, non una sua immagine distorta dalle filosofie o dalle ideologie del tempo».

Su questo terreno scivoloso la comunità dei discepoli di Gesù dovrà guardarsi dalla tentazione dello «gnosticismo», lumeggiata nel discorso mattutino in s. Maria del Fiore. Questa tentazione – ha spiegato Francesco – porta [la Chiesa] a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium 94).

Del resto ha ripetuto ancora una volta Francesco: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium 49).

C’è tuttavia una nuova domanda che Gesù pone ai discepoli, la seconda: «Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)». Essa «risuona ancora oggi alla coscienza di noi suoi discepoli, ed è decisiva per la nostra identità e la nostra missione … La Chiesa, come Gesù, vive in mezzo alla gente e per la gente. Per questo la Chiesa, in tutta la sua storia, ha sempre portato in sé la stessa domanda: chi è Gesù per gli uomini e le donne di oggi?».

Francesco aveva già richiamato al mattino anche la tentazione del «pelagianesimo», che «ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività». Il papa aveva aggiunto che «davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative». Questo perché «la dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare». Con una felicissima espressione il papa aveva aggiunto che la medesima dottrina «ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo», per poi affidare un compito: «innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante».

Per ritornare all’omelia, in cui ha Francesco ha riscaldato il cuore della chiesa (e della città) di Firenze, che lo hanno accompagnato nel suo intenso percorso, ha proseguito il papa che «la nostra gioia è di condividere questa fede e di rispondere insieme al Signore Gesù: “Tu per noi sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. La nostra gioia è anche di andare controcorrente e di superare l’opinione corrente, che, oggi come allora, non riesce a vedere in Gesù più che un profeta o un maestro. La nostra gioia è riconoscere in Lui la presenza di Dio, l’inviato del Padre, il Figlio venuto a farsi strumento di salvezza per l’umanità». Ha poi aggiunto che «alla radice del mistero della salvezza sta infatti la volontà di un Dio misericordioso, che non si vuole arrendere di fronte alla incomprensione, alla colpa e alla miseria dell’uomo, ma si dona a lui fino a farsi Egli stesso uomo per incontrare ogni persona nella sua condizione concreta».