“Se Dio é un Noi, e noi? Noi e gli altri” di Piero Coda
di Dario Chiapetti • Due dei più grandi problemi dell’uomo, come si constata dall’insistenza di papa Francesco a riguardo, sono certamente le questioni che ruotano attorno alla sua identità e al suo rapporto con gli altri, anzi, alla relazione tra la sua identità e la presenza dell’altro. “Noi e gli altri”: questo il sottotitolo del saggio del teologo Piero Coda Se Dio é un “Noi”, e noi? (Massetti Rodella Editori, 2013) i cui lemmi ‘noi’, ‘e’ e ‘gli altri’ brachilogicamente ne rivelano già la risposta come si può scoprire seguendo la riflessione dell’Autore attualissima per l’uomo.
L’Autore si domanda innanzitutto in che modo la questione di Dio abbia a che fare con l’uomo e parte col riflettere su come ogni immagine archetipica dell’uomo relativa a Dio influenzi il suo modo di pensare e agire, mettendo anche in luce l’antinomia che si stabilisce tra il principio in Dio di ‘universalità’ (in riferimento alla sua pretesa di essere fondamento di tutta la realtà) e di ‘particolarità’ (in riferimento ai diversi culti che se ne fanno nei vari gruppi), facendo diventare lo stesso Dio elemento allo stesso tempo stesso unificante e discriminante tra il ‘noi’ e ‘gli altri’. Certamente l’uomo – prosegue Coda – può rapportarsi all’Assoluto sia come ‘Divino’ (nel numinoso) che come ‘Dio’ (nella Rivelazione), ma in entrambi i casi egli è riportato alla questione circa la sua identità e la valenza, per il suo formarsi, dell’altro da sé: nel primo caso, nel senso di una “giustificazione ideologica della pluralità non conciliata” che può cadere nella “insignificanza delle particolarità”; nel secondo caso, nel senso di un’affermazione d’esclusivismo derivante dall’unicità di Dio; anche se due importanti novità nascono dal monoteismo biblico: il valore dell”alterità’ in quanto ‘alterità’ e la coesistenza in Dio dei concetti ‘unico’ e ‘universale’. Per quanto riguarda la prima novità – osserva l’Autore – Dio, ponendosi come il ‘totalmente-Altro-dall’uomo’ (e di conseguenza l’uomo come il ‘totalmente altro-da-Dio’), si verifica che l”alterità’ definisce l”identità’; per quanto concerne la seconda è fatto notare come quell’unico Dio sia in realtà il garante della pluralità di tutte le forme che abitano il cosmo in quanto ne è la loro condizione di possibilità.
Coda passa quindi a riflettere su come la questione antropologica si configuri quando Dio si svela come un ‘Noi’. “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10,30). Nel momento in cui Dio si mostra a noi come un ‘Noi’ il principio dell’alterità viene collocato entro la sfera trascendente di Dio. Ma che l’unità propria di Dio venga declinata con ‘Noi’ ha importante conseguenza non solo sul piano trinitario ma anche sul piano antropologico: a essere una sola cosa col Padre non è solo il Figlio di Dio ma anche il Figlio dell’Uomo; in quel'”Io” giovanneo vi è tanto l’ipostasi del Logos quanto l’umanità assunta e pertanto l”uomo’. L”altro’ acquista così la massima dignità in quanto l’alterità fonda l’unità in Dio vista come “la relazione che in sé fa abitare l’identico e il diverso”. In questa teo-logica “il custode dell’alterità e il promotore dell’unità” è lo Spirito Santo, colui che dona a ciascuno personali lingue di fuoco (cf. At 2,1-4) che vanno a irraggiarsi all’esterno riunendo in sé in unum, il mondo; la croce invece è la massima espressione dell’altro, lo straniero come soggetto talmente definente la divina (e quindi umana) identità che Dio vi si identifica pienamente.
Ma in che termini – si domanda l’Autore – il mistero trinitario può rimodellare il modo di vivere il rapporto tra noi e gli altri? Gettato uno sguardo sul mistero dell’unità in Dio, a partire dall’alterità accolta in sé, Coda tenta di individuare analogie e implicazioni in campo antropologico: “si tratta di proporre alla storia degli uomini un paradigma di relazioni che sia interiormente plasmato da e in quella stessa dinamica di vita che sussiste in Dio, unità nella molteplicità”. Da un lato l’unità con l’alterità è elemento che costituisce l’identità, dall’altro, con l’incarnazione, con l’incontro tra il divino e l’umano, col totalmente-altro-da-sé Dio pone nell’uomo il medesimo principio: l’uomo è unità-con-alterità. Quattro sono le intuizioni che l’Autore offre infine al lettore: “Lo straniero è per noi il ‘caso serio’ dell’altro in quanto altro”; “Io (noi), infatti, sono (siamo) soltanto perché l’altro è [e] io sono perché l’altro sia”; l’io “può incontrarsi con sé solo fuori di sé, presso l’altro” e, infine, “aprendosi all’altro, in lui trasferendosi e ospitandolo verso di sé, in realtà, ci si apre e ci si ritrova in una tenda più grande”.
Qui sta l’originalità: il ‘noi’ non è somma ma contenuto dell’identità dei singoli ‘io’; ogni ‘io’, nell’incontro col ‘tu’, scopre sé come ‘noi’, come essere relazionale e relazionato, costituito ontologicamente da quel dinamismo trinitario che lo rende partecipe di esso, sussistente in esso e ciò in virtù dell’umano essere eterna immagine del Dio tri-ipostatico.