di Stefano Liccioli • Nel discorso tenuto recentemente ai Membri dell’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (UCIIM), Papa Francesco ha ricordato San Giovanni Bosco ed il suo invito ad educare con amore. L’attenzione dei media è stata poi catalizzata dall’affermazione del Santo Padre riguardo agli insegnanti che, a suo avviso, sono malpagati piuttosto che dal riferimento a Don Bosco, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita:«Il primo atteggiamento di un educatore – ha detto il Pontefice – è l’amore. È a queste figure che potete guardare anche voi, insegnanti cristiani, per animare dall’interno una scuola che, a prescindere dalla sua gestione statale o non statale, ha bisogno di educatori credibili e di testimoni di una umanità matura e completa. Testimonianza. E questa non si compra, non si vende: si offre».
Don Chavez ci suggerisce l’idea che per comprendere bene la personalità di Don Bosco dobbiamo guardarlo dal versante della sua passione educativa. Celebre è la sua affermazione: l’educazione è cosa del cuore. Un’idea questa che si traduceva in un comportamento capace di affetto intenso e personale, mai formale o burocratico. Lo testimoniano alcuni aneddoti tra cui quello ricordato da Don Albera:«Bisogna dire che Don Bosco ci prediligeva in modo unico tutto suo: se ne provava il fascino irresistibile. Io mi sentivo come fatto prigioniero da una potenza affettiva che mi alimentava i pensieri, le parole e le azioni. Sentivo di essere amato in modo non mai provato prima, singolarmente, superiore a qualunque affetto».
A distanza di duecento anni, cosa ha da dire ancora oggi Don Bosco? La gioventù con cui egli operava era quella della Torino del XIX secolo in un contesto storico segnato da forti tensioni e contrasti a livello economico, sociale e politico. A questa situazione ha risposto trovando forme nuove di opporsi al male, salvando così molti giovani dalle forze negative della società.
Fondò così oratori, scuole di vario tipo, laboratori di artigiani, giornali, tipografie, associazioni giovanili religiose, culturali, ricreative, sociali; chiese, missioni estere, attività di assistenza agli emigranti, oltre a due congregazioni religiose e una laicale che ne continuarono l’opera.
Quelli di Don Bosco erano giovani sicuramente diversi da quelli della nostra epoca, ma per alcuni aspetti anche molto simili. Anche oggi possiamo incontrare infatti ragazze e ragazzi “poveri e pericolanti”. Poveri non solo dal punto di vista economico, ma perché mancanti, ad esempio, di punti di riferimento e per questo pericolanti. L’attualità del messaggio di Don Bosco sta nell’aver individuato nell’educazione l’ancora di salvezza per tutti questi giovani e non solo per loro. Un’educazione che ha un orizzonte trascendente, improntata su un umanesimo cristiano, senza ripiegarsi però nello spirituale o ecclesiale inteso come spazio libero dai problemi del mondo e della vita. Mi pare significativo che in questo lavoro educativo, Don Bosco abbia coinvolto fin dall’inizio i laici, valorizzandoli per il loro essere nel mondo, con le loro capacità e competenze. Per questo fatto e per molto altro condivido quanto ha affermato il teologo francese Chenu:«Mi piace ricordare, anzitutto, colui che precorso il Concilio Vaticano II di un secolo: don Bosco. Egli è già, profeticamente, un uomo modello di santità per la sua opera che è in rottura con il modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei.