In margine ad un recente libro di Fausto Bertinotti

bertinotti

di Stefano Tarocchi • Parliamo qui del libro intervista di Fausto Bertinotti, con la prefazione del card. Gianfranco Ravasi, uscito recentemente per i tipi della Marcianum Press (F. Bertinotti, Sempre daccapo. Conversazione con Roberto Donadoni, Venezia 2014).

Che cosa spinge un personaggio della caratura di Bertinotti a misurarsi con domande di grande rilievo, poste da don Roberto Donadoni, direttore editoriale della Marcianum Press non è semplice da decifrare. Ma naturalmente un libro intervista è un percorso diverso da un libro semplicemente autoriale. Chi intervista ha in mente delle domande, e le risposte a quest’ultime in qualche modo organizzano le domande successive.

Fausto Bertinotti si muove da una lettura molto acuta sulla realtà multiculturale del nostro tempo (il “meticciato di popoli e di culture” di cui parlava l’allora patriarca Scola nel 2007: p. 31), per affermare, citando uno studio di Amintore Fanfani, l’incompatibilità tra capitalismo e cristianesimo (p. 71). D’altronde, il capitalismo cui ci si riferisce è quello che permette che l’1% della popolazione possegga metà della ricchezza mondiale. Bertinotti ricorda con una certa commozione l’incontro che il cardinale Michele Pellegrino, allora arcivescovo di Torino, ebbe quasi in punta di piedi, con gli operai di quella città negli anni ‘70, nel momento in una lotta per il difficile rinnovo del contratto. E rammenta anche il vescovo Bettazzi ad Ivrea e l’esperienza di preti operai, in quello che definisce un “camminare insieme” fra la sfera ecclesiale e quella del mondo lavoro, collocati in due mondi diversi della società del tempo.

Vengo così alle domande ultime, proprie dell’ultima tappa del libro: dall’incontro con Cristo rammentato da papa Francesco come primo momento del cammino della fede, che progredisce con l’approfondimento della sua parola (p. 107), alla risposta ai grandi interrogativi dell’esistenza dell’uomo che hanno come risposta una dimensione religiosa, oppure terrena. L’uomo Bertinotti sceglie il cammino di chi avanza nell’esistenza quotidiana «come se Dio non esistesse», dove la distinzione tra credenti e non credenti si stabilisce circa la dimensione della fede nello spazio pubblico. Se credenti e non credenti vogliono camminare insieme – è una delle tracce eventi di questo volume – vanno evitati «tutti gli elementi di commistione» fra le due dimensioni.

D’altronde, Bertinotti mantiene come punto fermo – e lo ripete più volte – l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana, in cui i costituenti posero come principio della carta il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Per Bertinotti si pone quella «straordinaria utopia in cui gli ultimi possono diventare primi» (p. 93). Oppure, come scrive alla conclusione del volume: «per usare il linguaggio del credente, va senz’altro mantenuta l’idea che nella nostra società gli ultimi, se non possono diventare i primi, debbono poter smettere di essere gli ultimi … gli sfruttati, gli umiliati, gli esclusi diventino il lievito di una nuova umanità, in cui non ci siano più primi e ultimi» (p. 121).

È questo che, sostiene Bertinotti, va trattenuto: e chiosa ancora con san Paolo, riprendendo di fatto il suo testamento postumo, conservatoci dai discepoli: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tim 4,7). E qui Bertinotti in un certo senso si tradisce, quando muta la frase di Paolo da «ho conservato la fede» a «non ho perso la fede». Inguaribile nostalgia che non ci rende mai tranquilli, ma ci colloca sempre in cammino, «sempre daccapo», appunto.