Unione ipostatica e escatologia. Il delinearsi della visione di Balthasar in un saggio del ’54
di Dario Chiapetti • Il 12 agosto 2005, in occasione dei 100 anni dalla nascita di H.U. von Balthasar, furono pubblicati due saggi inediti del giovane teologo svizzero che ora vengono presentati per la prima volta al pubblico di lingua italiana: Escatologia nel nostro tempo. Le cose ultime dell’uomo e il cristianesimo (Queriniana, Brescia 2017, 119 pp.).
Ma brevemente, quali sono i punti salienti del saggio in questione?
Unitarietà dell’uomo e brutalità della morte. Balthasar presenta la morte come termine della vita e perciò nel suo volto brutale che contrasta con le presentazioni che nella storia sono state offerte a partire da tentativi di addolcimento come quelli operati dalla magia, dal platonismo, dall’aristotelismo/stoicismo e dai quali la riflessione teologica lungo il suo percorso ha in vario modo attinto. Tale visione scaturisce dalla concezione antropologica unitaria biblica per la quale l’uomo è un’unità di anima e corpo e ogni evento che gli si presenta riguarda tutto sé.
Cristocentrismo e incarnazione. Tutto l’uomo muore e tutto l’uomo è risuscitato unicamente e totalmente da Dio e, in particolare, in Cristo. Tale cristocentrismo è fondato sulla base del valore teologico riconosciuto all’evento dell’incarnazione e che trova nella passione, discesa agli inferi e risurrezione il suo momento culminante.
Tempo ed eternità. Proprio nell’evento incarnatorio, Balthasar individua la chiave ermeneutica con cui intendere la relazione tra tempo ed eternità, termini escatologicamente significativi, superando le concezioni che li vedeva in opposizione, o in successione cronologica, tra loro. A motivo dell’incarnazione non solo l’eternità è entrata nel tempo ma anche il tempo nell’eternità. Quest’ultima si rende disponibile all’uomo come compimento del tempo che egli vive e Dio si rivela come il Dio dell’eterno e libero atto di comprendere ed esperire.
Tralasciando la lettura profondamente teologica della morte di Cristo e la visione, originale e discussa, del suo descensos ad inferos, pongo l’attenzione sulla riflessione di Balthasar circa l’incarnazione, ripercorrendo i passaggi, a mio avviso, più significativi del suo saggio.
Il tentativo di superare i vicoli ciechi di un’escatologia cosmologica, così come la Scolastica ha consacrato, porta Balthasar a concentrarsi su Cristo quale vertice dell’autorivelazione di Dio, e con ciò sul carattere di unitività cristologica, o meno, delle realtà degli éschata.
Il teologo svizzero muove il suo discorso dal piano antropologico, egli riflette sull’uomo come spirito-persona (Geistperson), unità di corpo e anima, e sulla sua generazione quale atto che deriva dalla procreazione parentale (non relativa al solo corpo) e da una immediata azione di Dio (non relativa alla sola anima), mistero per il quale «i genitori generano il bambino nella mano creatrice di Dio» (p. 28).
A gettare luce su tale mistero, in virtù del principio dell’analogia entis, è proprio l’incarnazione: «il mistero della trascendenza d’origine dell’uomo acquista il suo compimento insuperabile nella completa unione ipostatica: secondo l’intenzione divina l’uomo nasce per Cristo, per il suo inserimento in lui come membro del suo corpo mistico. Questo membro viene prodotto dall’unità indissolubile di un atto produttivo umano e divino […] un legame che però già rimanda in avanti, verso una meta ultima ed esuberante in questa creazione concreta: verso l’unione tra natura umana e divina in Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio» (pp. 29-30).
Infine, l’accesso dell’uomo all’éschaton è aperto da Cristo che al primo offre un «nuovo spazio in Dio». Scrive Balthasar: «nell’unione ipostatica si compie questa realtà fondamentale, che le cose temporali ricevono una possibilità di esistenza, anzi una giustificazione e sono recuperate all’interno della vita eterna di Dio» (p. 35).