di Andrea Drigani • Cento anni fa, il 1 agosto 1917, Papa Benedetto XV inviava una Lettera ai Capi dei popoli belligeranti. Si tratta di un testo molto importante non solo da un punto di vista storico, ma perché contiene alcune annotazioni di grande e profonda attualità, che anche dopo un secolo meritano di essere rilette e riconsiderate. In questa Nota il Papa esordisce osservando che sin dall’inizio della prima guerra mondiale si era prefisso almeno tre obbiettivi: una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti; uno sforzo continuo di fare il maggior bene senza distinzione di nazionalità o di religione; la cura assidua di nulla omettere, per contribuire alla fine di tale conflitto, inducendo i popoli e i loro Capi verso una pace «giusta e duratura», cioè una pace stabile e dignitosa per tutti. Purtroppo, constatava Benedetto XV, il suo appello non era stato ascoltato, e la guerra era proseguita, inasprendosi ed estendendosi per terra, per mare e nell’aria, facendo scendere la desolazione e la morte sulle città e i villaggi inermi. «Il mondo civile – osservava il Papa – dovrà dunque ridursi a un campo di morte? E l’Europa così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro a un vero e proprio suicidio?». Benedetto XV dichiara di alzare nuovamente il grido di pace, e di presentare delle proposte concrete e pratiche per invitare i Governi dei popoli ad accordarsi sopra alcuni punti. Il primo e fondamentale – precisa il Pontefice – è che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto, attraverso un accordo sulla diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti e con l’introduzione dell’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo norme e garanzie da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all’arbitro o di accettarne la decisione. E’ il ristabilimento dell’impero del diritto, per Benedetto XV, ciò che può eliminare molteplici cause di conflitto ed aprire nuove fonti di prosperità e di progresso. E’ dunque un grande richiamo al ruolo insostituibile del diritto internazionale quello compiuto dal Papa. Un diritto originato dallo «ius gentium», cioè da quel complesso di norme che i Romani avevano in comune coi popoli civili dell’antichità o che essi vennero a creare nei rapporti con questi. Ma lo sviluppo teorico, in senso moderno, del diritto internazionale nasce nel pensiero cristiano attraverso l’opera del teologo domenicano spagnolo Francisco de Vitoria (ca.1492-1546) che, col «De iure belli», può essere ritenuto il padre del diritto internazionale. Quanto ai danni e alla spese di guerra, Benedetto XV non vedeva altro soluzione che quella di una intera e reciproca condonazione, giustificata dai benefici immensi del disarmo. Il Papa affermava che uno spirito di equità e di giustizia avrebbe dovuto, poi, dirigere tutte le questioni territoriali e politiche. Benedetto XV riteneva che le sue proposte erano le basi sulle quali doveva posare il futuro assetto dei popoli. Nel presentarle aveva la speranza di vederle accettate e giungere «così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage». Dopo cento anni è da rilevare che tutti i Romani Pontefici, che sono succeduti a Benedetto XV, nel loro magistero e nella loro azione hanno reiterato e sviluppato l’appello per il disarmo, avversando la produzione e il commercio delle armi, hanno inoltre continuato a richiedere il rafforzamento delle organizzazioni internazionali per la promozione ed il mantenimento della pace nel mondo. Qualche passo in avanti è stato fatto, ma rimane ancora tanta strada da compiere. Non resta che rinnovare ai governanti di oggi l’invito col quale Benedetto XV, nel 1917, concludeva la sua lettera: «Vi inspiri il Signore decisioni conformi alla Sua santissima volontà, e faccia che voi, meritandovi il plauso dell’età presente, vi assicuriate altresì presso le venture generazioni il nome di pacificatori».