di Stefano Liccioli • Sono sempre di più le realtà ecclesiali (ma non solo) che, soprattutto nei mesi estivi, rilanciano la proposta di compiere, tutto o più spesso in parte, il Cammino di Santiago de Compostela.
I destinatari della proposta sono in particolar modo i giovani, anche se quella del Cammino è un’esperienza accessibile pure a chi ha diverse “primavere” alle spalle.
In questa sede non intendo né ricostruire la storia del Cammino né offrire delle indicazioni pratiche su come affrontarlo. Dal momento però che in questi ultimi decenni è aumentata la filmografia e la pubblicistica sull’itinerario “compostelano”, così come sono molte le persone che, per vari motivi (non solo religiosi, dunque) e da diverse parti del mondo, lo compiono, ho trovato significativa la lettera pastorale scritta in questo mese dai vescovi responsabili delle diocesi che sono attraversate dal Cammino. Il messaggio è rivolto principalmente a chi fa accoglienza e ospitalità cristiana lungo l’itinerario (santuari, chiese, case religiose e monasteri), ma le indicazioni contenute sono, a mio avviso, importanti anche per i pellegrini, per vivere in maniera autentica questa esperienza.
I prelati dunque danno alcuni consigli pratici: tenere i prezzi accessibili a tutti, rendere “visibili, ma senza esagerare” i segni esteriori delle strutture d’accoglienza cristiane, mettendo un crocifisso all’entrata o nelle sale, un’effige di San Giacomo apostolo, consegnare ai pellegrini una guida informativa sul Cammino, proporre alle persone in viaggio la partecipazione a liturgie specifiche in diverse lingue. Interessante anche la raccomandazione dei vescovi sul modo di accogliere i pellegrini: non come giornalisti che intervistano gli ospiti né come psicologi che obbligano gli altri a parlare. Un luogo che si definisce “cristiano” – precisano i prelati– è per natura “aperto a tutti, fraterno e gioioso” e “nessuno sarà obbligato a esprimersi”. Un’ospitalità, dunque, improntata all’esempio ed alla gioia, che conduca il pellegrino per il cammino di san Giacomo e lo aiuti a meditare, a ritrovare se stesso e a scoprire Dio nel suo profondo”.
Preghiera, discernimento personale, cura del proprio rapporto con Dio: sono gli elementi principali che caratterizzano l’esperienza del Cammino di Santiago e lo posso testimoniare in prima persona. Nell’agosto del 2010 in occasione dell’Anno Santo Compostelano ho partecipato alla proposta estiva del Centro Diocesano di Pastorale Giovanile di Firenze che mi ha portato, insieme ad altri giovani, a fare a piedi alcune tappe del Cammino per un totale di 160 km.
Mi sono sono reso conto che il Cammino già di per sé costituisce una scuola di vita che insegna la conoscenza di sé, il valore della fatica per arrivare alla meta, l’importanza di saper discernere le cose essenziali per il viaggio, la solidarietà con gli altri compagni, la bellezza del Creato che invita a pensare. Fare il Cammino significa percorrere una strada segnata in centinaia di anni dai passi di uomini e donne di ogni estrazione sociale, vuol dire seguire un itinerario che non è subordinato alle logiche della moderna viabilità finalizzata alla rapidità degli spostamenti, ma che intende educare spiritualmente le persone. E come non ricordare poi tutti quei paesini che nell’era della globalizzazione non meriterebbero forse di essere menzionati, ma per un pellegrino sono preziosi perché rappresentano l’arrivo, l’accoglienza di ospiti generosi.
Infine la città di Santiago, i luoghi in cui nel 1989 sono risuonate le parole di Giovanni Paolo II alla Giornata Mondiale della Gioventù, il passaggio attraverso la Porta Santa della Cattedrale, la Messa, la preghiera sulla tomba di San Giacomo che venne ad evangelizzare la Spagna.
Ovviamente c’è chi percorre la strada per Santiago anche per motivi culturali, turistici o comunque non religiosi. Ma guardare al Cammino solamente come ad una bella esperienza di trekking è molto riduttivo.
Concludo con una nota più nostrana e che riguarda la Via Francigena. Mi auguro che in vista del prossimo Anno Santo del 2025 questo itinerario che attraversa anche una parte del nostro Paese possa essere rilanciato e valorizzato (soprattutto per quel che concerne le strutture, lungo il percorso, destinate all’accoglienza) in maniera sistematica, con un stretta collaborazione tra realtà civili ed ecclesiali, rifuggendo inutili particolarismi locali.