La giustizia: una nozione che richiede oggi di essere ampliata
di Leonardo Salutati • In occasione del saluto rivolto alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali riunita il 24 aprile scorso, Papa Francesco ha toccato, tra gli altri, un tema di grande attualità, da sempre appartenente alla riflessione della Dottrina Sociale della Chiesa, che è anche un forte richiamo alla conversione.
Per questo, osserva preoccupato Papa Francesco, non è capace di futuro quella società in cui esiste solamente il “dare per avere” oppure il “dare per dovere”, espressione, la prima, della visione liberal-individualista del mondo in cui tutto (o quasi) è scambio e, la seconda, della visione stato-centrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità. È allora urgente cercare una via d’uscita dalla soffocante alternativa tra la tesi neoliberista e quella tesi neostatalista. Infatti, proprio perché l’attività dei mercati e la manipolazione della natura – entrambe mosse dall’egoismo, dall’avidità, dal materialismo e dalla concorrenza sleale – alle volte non conoscono limiti, è necessario intervenire sulle cause di tali malfunzionamenti, soprattutto in ambito finanziario.
Recenti analisi confermano la preoccupazione del Papa nel denunciare, per esempio, che fin dal momento della sua applicazione, si era consapevoli che la teoria del quantitative easing (espressione che indica la creazione di moneta da parte di una banca centrale e la sua immissione nei circuiti finanziari ed economici) attuata dalle quattro principali banche centrali del mondo (la Federal Reserve americana, la Bank of England, la Banca centrale europea e la Banca del Giappone), presentata come strumento per incoraggiare gli investimenti e stimolare l’occupazione e la crescita, è sempre stata un artificio fantasioso creato per dissimulare piuttosto un colossale trasferimento di ricchezza verso i più ricchi (Glazebrook, 2017).
L’iniezione di denaro nell’economia del QE avrebbe dovuto portare le banche a favorire il rilancio degli investimenti e della crescita economica. In realtà è invece successo che il credito bancario totale è diminuito, e il credito a piccole e medie imprese, responsabili di una percentuale maggioritaria dell’occupazione, sia caduto verticalmente. Infatti il motivo per cui le banche non finanziavano investimenti produttivi non era la carenza di denaro – già nel 2013, molto prima degli ultimi cicli di QE, le imprese inglesi per esempio disponevano di quasi 500 miliardi di riserve liquide – ma piuttosto perché l’economia globale si trovava (e si trova tuttora) in una profonda crisi di sovrapproduzione. In altre parole, i mercati erano (e sono) saturi e non ha senso investire in un mercato saturo.
Per questo motivo, tutto il nuovo denaro creato dal QE ed immesso nelle istituzioni finanziarie non è stato poi investito nelle attività produttive, ma si è invece riversato nei mercati azionari ed immobiliari, gonfiando i prezzi delle azioni e degli immobili, senza un aumento della ricchezza reale o dell’occupazione, ma favorendo piuttosto i titolari di tali asset. Si stima che il risultato finale dell’operazione sia quello di avere accresciuto la ricchezza del 5 per cento più ricco della popolazione, mediante un complesso meccanismo di trasferimento di risorse a spese dei salari che si sono ribassati in Europa, in Giappone e ancor più nei paesi del “Sud del Mondo”.
Una tale situazione, allora, avvalora oggi più che mai l’invito evangelico a cercare «anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33), come un’energia sempre nuova nella storia per favorire fraternità, libertà, giustizia, pace e dignità per tutti, dimensioni dell’esistenza oggi da ampliare urgentemente, senza le quali non può esserci giustizia e l’esistenza stessa si trasforma in un vivere disumano.