di Gianni Cioli • Quello della tossicomania appare sempre più, un problema di tragica attualità, come confermano dolorosi fatti di cronaca recente. Se è vero che la continua produzione di sostanze sintetiche nuove, a basso costo e di facile accesso, fa apparire la tossicomania un fenomeno sempre diverso, più pericoloso e difficile da contrastare a tutti i livelli, è anche vero che alla radice del medesimo possono esservi problematiche di fondo che rimangono sostanzialmente le medesime pur fra notevoli cambiamenti.
Se questo è vero possono essere ancora attuali molte considerazioni proposte nel volume Chiesa droga e tossicomania. Attualità di un libro a cura del Pontificio consiglio per la pastorale della salute (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001), frutto del convegno «Solidali con la Vita», sui problemi della droga e della tossicomania, organizzato dal Pontificio Consiglio della pastorale per gli Operatori Sanitari e svoltosi in Vaticano nel 1997.
L’opera si articola in cinque capitoli, ovvero, I: L’insegnamento di Giovanni Paolo II sul fenomeno della droga e della tossicomania; II: La tossicomania è un sintomo della dipendenza; III. Diventare liberi (dove si propone una riflessione teologico-pastorale, sulla questione della libertà); IV: Educazione e prevenzione; V: Atteggiamenti pastorali al servizio della liberazione della persona.
Il libro, per quanto inevitabilmente datato in molte parti relative alle questioni più tecniche, rimane probabilmente uno strumento utile, non soltanto per coloro che s’interessano in maniera diretta al problema della droga e della tossicomania, ma anche per tutti coloro che operano nel campo della pastorale giovanile in quanto offre criteri per interpretare i sintomi del disagio presente nei giovani, per individuare i soggetti a rischio, per intervenire a livello informativo e preventivo, per percepire i segnali di chi fa uso di sostanze e indirizzare verso terapie adeguate.
Ma, soprattutto, la lettura può risultare utile per una riflessione di carattere antropologico e morale. La droga non è soltanto una grave emergenza della nostra società che diventa urgenza pastorale per la chiesa, chiamata a operare nel campo della carità. È anche il segno di una crisi culturale che ci spinge a riflettere sul significato della vita della persona umana, della sua responsabilità, del suo essere parte della società. È il sintomo di una civiltà malata che deve rivedere, se non vuole implodere, i propri modelli di vita ritrovando valori profondi e comuni, insieme alla capacità di sperare. A partire dagli esiti distruttivi della droga sulla persona, dall’annientamento della sua libertà nella dipendenza, e riflettendo sui percorsi terapeutici necessari per uscire dal cerchio della tossicomania, si può, per antitesi, cogliere il senso della dignità umana e della conquista di una sempre più profonda libertà attraverso l’ascesi. Nella prospettiva della morale delle virtù, la tossicomania può essere letta come espressione limite del vizio d’intemperanza. Così, il valore della temperanza, considerata organicamente nel contesto di tutte le altre virtù, può ricevere luce dall’analisi fenomenologica della sua antitesi estrema. In questo quadro acquista un’importanza chiave il discorso relativo ai desideri e ai piaceri: «I desideri ed i piaceri compiono una funzione importante nell’economia interiore dell’individuo e costituiscono la dinamica su cui si basa la psicologia umana. Volerli trascurare o ignorare è spesso pericoloso per l’equilibrio della persona. Un’ascesi che volesse sopprimerli o un edonismo che cercasse di esaltarli danneggerebbero l’uomo, mentre è soprattutto opportuno saper stabilire una gerarchia tra desideri e piaceri» (pp. 66-67).
Al tema delle virtù e dell’equilibrio nei desideri e nei piaceri, si collega profondamente la questione pedagogica, ed è uno dei meriti maggiori del libro quello di mettere con lucidità in evidenza la realtà di una crisi degli educatori nella nostra società: «da diverse generazioni gli adulti incontrano serie difficoltà nel collocarsi come educatori». Questa crisi sarebbe da imputare, anche e non ultimamente, a una sorta di ideologia pedagogica «non-direttiva» che avrebbe preso campo nella cultura occidentale negli ultimi anni, con l’obbiettivo di evitare influenze indebite sulla libertà dell’educando. «Questo progetto, degno di stima nelle sue intenzioni, è però apparso privo di contenuto educativo e morale, come anche di una visione dello sviluppo progressivo del bambino. Ben presto, i sostenitori di questa pedagogia ‘non-direttiva’, i quali rimproveravano un eccessivo interventismo da parte degli adulti, hanno favorito un atteggiamento di dubbio da parte dell’adulto stesso e di timore di immischiarsi nella vita del bambino. Quest’ultimo è stato messo su un piano di eguaglianza con l’adulto, come se possedesse in se stesso tutto ciò di cui ha bisogno per svilupparsi. Il bambino inoltre è stato considerato come libero dalla nascita, di una libertà quasi assoluta da non ostacolare. Questa visione manca di buon senso perché il bambino non nasce libero: egli lo diviene grazie all’educazione che riceve, un’educazione legata alla concezione che noi abbiamo della persona umana integrale e dell’esistenza» (p. 128).