Intorno ad una definizione di «popolo»
di Andrea Drigani • Il richiamo al «popolo» è stato una costante nella storia sociale, giuridica e politica del genere umano. Un richiamo che tuttora sussiste sia per quello che riguarda l’esercizio della sovranità e del governo, come pure in riferimento all’identità nazionale. Svariate sono state e sono le definizioni di «popolo», anche assai differenti e contrastanti tra di loro, forse è opportuno riproporne una molto antica: quella di Marco Tullio Cicerone, il grande oratore romano vissuto tra il 106 a.C. e il 43 a.C. Nel De re pubblica, Cicerone scrive: «Populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus» («Popolo, poi, non è ogni aggregazione di uomini in qualunque modo unito insieme, ma la convergenza di una moltitudine fondata sulla condivisione del diritto e sulla comunanza di interessi»). Una prima nota che emerge da questa definizione ciceroniana è che il «popolo» non ha nulla a che vedere con un insieme raccogliticcio, magari contrattuale, di singoli individui, quasi come atomi, la cui volontà si esprimerebbe secondo un principio maggioritario da intendersi in senso esclusivamente aritmetico. Questo, per Cicerone, è il «coetus quoquo modo congretatus» non è il «populus», i cui elementi costitutivi sono il «consensus iuris» e la «communio utilitatis». Si può osservare che Cicerone non fa alcun riferimento alla dimensione etnica, questo non perché la misconoscesse, poiché l’etnia è dato incontrovertibile e ineliminabile, ma da un punto di vista istituzionale il diritto non potrà mai essere multietnico, bensì transetnico. Ci sarà un diritto universale, generale e comune («Roma communis patria est» diceva il giureconsulto Modestino), sul quale tutti dovranno consentire, a prescindere dall’appartenenza etnica, e potrà esistere, nell’ambito e nei limiti dell’ordinamento giuridico principale, anche un diritto particolare, speciale e proprio. Questo si realizzò nell’Impero Romano, nella Monarchia Austro-Ungarica (dove erano presenti ben 11 etnie), ancora oggi nella Confederazione Elvetica, e sotto certi aspetti pure negli Stati Uniti d’America. E’ ovvio che quando Cicerone parla di «ius» , non intende soltanto quel diritto prodotto dall’attività legislativa, ma pure lo «ius naturale», che per il giureconsulto Gaio era «quod naturalis ratio inter omnes homines costituit» («Ciò che la ragione naturale costituisce tra tutti gli uomini») e che l’altro grande giureconsulto Giulio Paolo precisò essere: «quod semper aequum ac bonum est» («Quello che è sempre equo e buono»). I principi del diritto naturale, considerati alla luce della rivelazione cristiana, saranno poi ritenuti dall’Imperatore Giustiniano nelle sue Istituzioni: «divina quadam providentia constituta semper firma atque immutabilia pemanent» («costituiti dalla divina provvidenza che sempre permangono fermi e immutabili»). Il secondo requisito ciceroniano, perchè vi sia un «popolo», è quello della comunanza di interessi («communio utilitatis»). In questo concetto possiamo vedere un anticipo dell’idea di bene comune, che San Tommaso d’Aquino indica come «finis singularum personarum in communitate existentium» («il fine delle singole persone esistenti nella comunità») e che il Magistero della Chiesa, prima con San Giovanni XXIII nelle Encicliche «Mater et Magistra» e «Pacem in terris», poi il Concilio Vaticano II nella Costituzione «Gaudium et Spes» definisce come l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi e ai singoli di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente. La «Gaudium et Spes» afferma, inoltre, che la comunità politica esiste in funzione del bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e dal quale ricava come corpo morale il diritto di provvedere a se stessa e il suo ordinamento giuridico. Sant’Agostino nel «De civitate Dei» commenta questa definizione ciceroniana di «popolo», e afferma che non si è mai pienamente realizzata, neanche nella «Res publica romana», perché essa non fu una perfetta società civile, in quanto non si ebbe mai un’autentica giustizia e proclama, invece, che «la vera giustizia si ebbe soltanto nella società cui Cristo è fondatore e sovrano, se è ammesso di considerare anch’essa una Res publica, poiché non si può negare che è una res del popolo». La Chiesa è il Popolo di Dio.