di Gianni Cioli • «Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre, / sia santificato il tuo nome, /venga il tuo regno; /dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, /e perdona a noi i nostri peccati, /anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, /e non abbandonarci alla tentazione”» (Lc 11,1-4).
Il capitolo undicesimo del Vangelo di Luca ci permette di cogliere con chiarezza la dimensione più specifica della preghiera cristiana che consiste nella partecipazione al dialogo orante di Gesù con il Padre. È significativo a questo proposito che il terzo Vangelo collochi la narrazione dell’insegnamento del “Padre nostro” nel quadro della preghiera di Gesù che suscita nel discepolo il desiderio di imparare da lui a pregare.
Prima di essere una formula il “Padre nostro” è un modo nuovo di porsi di fronte a Dio che soltanto Gesù, in quanto Figlio di Dio, può insegnare. La preghiera cristiana significa stare di fronte a Dio come figli. È essenzialmente una partecipazione alla coscienza filiale di Gesù. Egli, quanto Figlio di Dio fatto uomo, ha vissuto tutta la sua vita costantemente in relazione con il Padre, nella radicale fiducia in lui e nell’abbandono incessante alla sua volontà. Il discepolo è chiamato, attraverso la “Preghiera del Signore”, a scoprirsi figlio nel Figlio imparando dal Maestro l’amore, la fiducia e l’obbedienza.
Gesù attraverso la sua incarnazione, la sua vita, la sua passione, la sua morte e risurrezione, ha rivelato pienamente il vero volto di Dio e il vero volto dell’uomo. Egli ha manifestato l’autentica paternità di Dio ed ha indicato la piena realizzazione dell’essere umano nel riconoscimento della propria figliolanza.
La preghiera cristiana scaturisce dalla coscienza di questa figliolanza e la alimenta a sua volta, permettendo di interpretare l’esistenza nell’orizzonte dell’amore di Dio: un amore riconosciuto e sperimentato attraverso la capacità di leggere gli eventi, anche quelli meno desiderabili, nella luce della provvidenza divina.
La capacità di rivolgersi a Padre con la coscienza di essere figli presuppone però la disponibilità all’ascolto. È significativo che, nel Vangelo di Luca, il racconto dell’insegnamento della “Preghiera del Signore” sia preceduto dall’episodio di Marta e Maria in cui si narra che Gesù: «entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”» (Lc 10,38-42). La storia delle due sorelle non vuole certamente delineare, come talvolta si è inteso, due possibili scelte di vita cristiana, attiva e completiva, richiamando la superiorità di quella contemplativa. Intende piuttosto ricordare a ogni discepolo del Signore il primato dell’ascolto della Parola, come presupposto, per servire Dio secondo la sua volontà, qualsiasi sia stato di vita che si è abbracciato. Come a dire: prima di lamentarti con il Signore, prima di pretendere che egli faccia ciò che voi tu, siediti a suoi piedi per ascoltare, come Maria, quello che egli ha da comunicarti.