La parabola del buon Samaritano (Lc 10,25-37) rivelatrice della misericordia di Dio

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14698656711531016450175di Leonardo Salutati Gesù parlava spesso in parabole e ai suoi discepoli le spiegava con chiarezza in quanto ognuna racchiude in sé un significato più profondo. Questa consapevolezza ci invita a riflettere sul messaggio contenuto dalla parabola del buon Samaritano che, alla luce di tutto il Vangelo, si rivela come una potente rappresentazione della caduta e della redenzione dell’umanità.

Le origini di questa interpretazione allegorica affondano negli albori del Cristianesimo. Nel secondo secolo d.C. Ireneo di Lione e Clemente di Alessandria vedevano entrambi il buon Samaritano come un simbolo di Cristo stesso che salva l’umanità ferita dal peccato.

Pochi anni più tardi, il discepolo di Clemente, Origene, affermava di aver ripreso questa interpretazione da un anziano appartenente alla primitiva comunità cristiana, offrendo un’esegesi completa della parabola in chiave di allegoria cristologica nelle sue Omelie su Luca, composte verso il 230 (Origene, Homélies sur s. Luc, Omelia 34, SC 87, Paris 1962). Estremamente interessante è la sua sintesi che ci è rimasta in un prezioso frammento conservato nell’originale greco: «Descriviamo dunque con un discorso sintetico il significato della parabola. L’uomo “può essere ricondotto” (anágetai) ad Adamo ovvero al discorso sull’uomo e sulla sua vita in precedenza e sulla caduta dovuta alla disobbedienza. Gerusalemme [rimanda] al paradiso ovvero alla Gerusalemme di lassù; Gerico invece al mondo. I briganti [rinviano] alle forze avverse, sia i demoni sia i falsi maestri che vengono al posto di Cristo: le ferite [richiamano] la disobbedienza e i peccati; mentre lo spogliamento delle vesti [allude] al fatto di essere denudato dell’incorruttibilità e dell’immortalità e di essere stato privato dell’intera virtù; il fatto che lascino l’uomo mezzo morto dimostra che la morte raggiunge metà della natura, giacché l’anima è immortale. Il sacerdote [rimanda] alla legge, il levita al discorso profetico, il Samaritano a Cristo, che ha preso la carne da Maria; l’animale da soma [rinvia] al corpo di Cristo, il vino alla parola che istruisce e corregge, l’olio alla parola della bontà e misericordia ovvero della carità viscerale. L’albergo [richiama] la Chiesa; l’albergatore [allude] agli apostoli e ai loro successori, vescovi e maestri delle Chiese, ovvero agli angeli che presiedono alla Chiesa. I due denari [richiamano] i due testamenti, l’antico e il nuovo, ovvero l’amore verso Dio e quello verso il prossimo, oppure la conoscenza relativa al Padre e al Figlio. Infine il ritorno del Samaritano [si riferisce] alla seconda manifestazione di Cristo».

Seguita pure da Agostino (Quest. Ev. 2,19), questa interpretazione divenne comune in Occidente e in tutto il Medioevo influenzando anche la produzione artistica, ne sono esempio le due splendide vetrate del XIII secolo nelle cattedrali di Chartres e Bourges in cui i quadri della parabola sono accompagnati (e interpretati) dalle scene del peccato originale e della passione di Cristo, per evidenziare il ferimento dell’uomo e le cure prestate dalla misericordia divina.

È interessante notare come i primi commentatori cristiani vedevano il sacerdote e il levita come simboli della legge e dei profeti, pertanto il problema non era che i detentori del Sacerdozio nell’Antico Testamento, né tantomeno quelli del Nuovo Testamento, non volessero aiutare l’uomo caduto, ma che la legge di Mosè non aveva il potere di salvarlo.

L’esegesi moderna, seguendo il metodo storico-critico, ha rigettato assolutamente una simile interpretazione, tuttavia pur senza voler esagerare nella spiegazione allegorica, due piccoli ma importanti dettagli della parabola permettono di cogliere la coerenza dell’interpretazione offerta dai Padri della Chiesa con il Vangelo di Luca: 1) Luca afferma che il samaritano ebbe compassione (Lc 10,33), è lo stesso verbo utilizzato nel racconto della risurrezione del figlio della vedova di Nain (Lc 7,13) per parlare dell’amore di Dio. 2) Il vocabolo greco tradotto in italiano «al mio ritorno» (Lc 10,35), appare solo un’altra volta nel Nuovo Testamento, in Lc 19,15, riferito alla parabola dell’uomo nobile che sarebbe tornato per giudicare le persone alle quali era stato affidato il suo denaro. Questo collegamento rafforza marcatamente l’allusione alla seconda venuta di Cristo.

In realtà il modello positivo che il racconto lucano intende proporre, con il Samaritano che adotta i sentimenti e riprende i gesti di Cristo stesso è proprio Gesù Cristo che, col suo cammino storico, si è fatto effettivamente vicino all’uomo e se ne è preso cura offrendogli la possibilità di guarire. In questa linea si colloca anche la tradizione liturgica che nell’edizione italiana del Messale del beato Paolo VI propone un Prefazio, intitolato Gesù buon Samaritano, che così recita: «Nella sua vita mortale egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancor oggi come buon Samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Per questo dono della tua grazia, anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del tuo Figlio crocifisso e risorto».

 

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Leonardo Salutati

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