di Carlo Nardi • “Perché non parli?” si narra abbia detto Michelangiolo davanti al suo potente Mosè, tra un compiacimento e un sospiro. Diffati la materia pare resistere sempre alle aspettative dell’artefice. Succedeva anche a lui. È uno scotto da pagare alla nostra umanità. Non siamo il Padre Eterno che la materia se l’ha fatta dal nulla e quindi l’ha in mano, anche se ordinariamente si avvale delle cause seconde, lasciandola organizzare dalle leggi della fisica. È Lui il creatore e, se si dà alla parola “creazione” il suo significato preciso, ha tratto la materia dal nulla, dal nulla di tutto. È articolo di fede, già implicita ad apertura della Genesi.
Secondo molte religioni, con i loro miti e le loro elaborazioni filosofiche, un artefice c’è – il mondo non può essersi fatto da sé e dire che si è fatto per caso è dire un bo? che non contenta troppo – ma si tratta di un dio ordinatore, organizzatore, architetto che la materia prima se la trova davanti. Platone nel Timeo chiama quel dio demiurgo, che vuol dire artigiano. Alla fine della sua opera il divino Artigiano se ne compiace, perché il mondo è bello: è un particolare che ricorda la Genesi con lo sguardo di Dio che si allieta per le sue opere. Sennonché quella radice preesistente, in origine indipendente dalla divinità, e quindi dalla ragione e dal bene, è facilmente avvertita come caos, disordine, irrazionalità, male, in opposizione al dio buono. Se Dio è il bene, la materia è intesa come male. Questa mentalità si diffonde nel mondo greco-romano già dal primo secolo, ha una complicata sistemazione con lo gnosticismo, raggiunge il suo culmine nel manicheismo. Poi quel coacervo di pensieri, ammantandosi di spiritualità, misticismo e tante altre cose ritenute come eccelse, raggiungendo esoterismi massonici e lambendo il new age, accompagna in lungo e in largo la storia del cristianesimo. Ma in modo parassitario. Perché, della fede cristiana manca la creazione con la bontà della materia in sé. Se invece la materia è male, come fa Dio a sporcarsi le mani con la nostra carne? Di conseguenza: niente incarnazione, passione, morte, risurrezione, sacramenti, dove ci vuole l’acqua, l’olio, il pane e il vino, e uomini in carne e ossa, come sono anche i preti.
Di questo pensiero evanescente ma accattivante si erano già accorti san Giovanni nel suo vangelo, san Paolo o chi per lui nelle lettere cosiddette pastorali e, tra i primi scrittori dopo gli apostoli, specialmente sant’Ignazio, vescovo di Antiochia e martire a Roma nel 107, preoccupato, come poi sant’Ireneo, di smascherare le idee dei cosiddetti doceti. Secondo questi tali, proprio per loro disagio nei confronti della carne, il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo «in apparenza» (in greco dokései), non davvero. Per alcuni di loro, come riporta Tertulliano nel trattato La carne di Cristo, Gesù sarebbe sceso bell’e grande dal cielo. Una specie di Wanda Osiris che sentimentalmente discende tra lustrini e bagliori. Un’apparizione incantevole: tutti a bocca aperta e via. Sarebbe ridurre il cristianesimo a una iridescente bolla di sapone …
Meno male c’è il credo. Basta quello breve, dove si legge tra l’altro: «Nacque da Maria vergine; fu crocifisso, morì e fu sepolto; risuscitò. Credo la risurrezione della carne». Vera nascita, vera morte, vera risurrezione, quella di Cristo per la nostra vera risurrezione. La festa dell’Assunta sa di tutto questo, e noi fratelli e figli ne possiamo odorare il profumo. Un profumo di immortalità, avrebbe detto sant’Ignazio di Antiochia.