di Dario Chiapetti • A seconda dell’impegno con cui si decide di prendere in esame l’annosa e spinosa problematica della povertà si possono provare a tracciare le linee portanti della risposta a due interrogativi ancora più profondi: chi è Dio e chi è l’uomo. È in quest’ottica che si muove il teologo Gustavo Gutiérrez, che, con la pubblicazione della sua opera programmatica del 1971, Teologia della liberazione, ha dato nome e vita alla corrente di pensiero che tanto ha stimolato la riflessione teologica, non senza vive tensioni e riserve. La teologia, interrogata soprattutto dai problemi presenti nella situazione economico-sociale dell’America latina, e, in sinergia con essa, il magistero ecclesiale, hanno colto la sfida del fenomeno della povertà sia a livello teologico che pastorale e politico. Giovanni Paolo II parlò delle cause umane della povertà, presentata non più come un destino ineluttabile che il povero deve rassegnatamente accettare e il ricco cercare di alleviare solo con le opere di carità; Benedetto XVI, dal canto suo, ne ribadì particolarmente il significato teologico: “l’opzione preferenziale per i poveri – disse ad Aparecida – è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero, per arricchirci con la sua povertà“; Francesco, da ultimo e a partire dalla sua esperienza di vita a Buenos Aires, ha indicato la motivazione del suo invito pastorale rivolto a tutti di attuare l’immagine di una Chiesa in uscita verso le periferie: andare incontro al povero significa andare incontro al Signore; in ultima istanza, comprendere e sperimentare l’amore di Dio stesso.
In Perché Dio preferisce i poveri. La teologia della liberazione è sempre attuale (Emi 2015) Gutiérrez ripercorre, sintetizza e rilancia il suo pensiero proprio alla luce degli ultimi sviluppi in campo sociale ed ecclesiale.
Per una prima comprensione della problematica della povertà il teologo peruviano espone delle riflessioni di carattere sociologico che mettono in luce innanzitutto la sua complessità: essa non è un fenomeno inerente solo l’aspetto economico ma anche sociale, culturale, razziale, di genere; in secondo luogo il suo carattere di realtà globale: i poveri non sono solo i nostri vicini o, di contro, soggetti di un astratto terzo mondo, la povertà è un fenomeno dalle vaste dimensioni e onnipresente nella geografia politica mondiale; da ultimo e soprattutto, il suo significato di menomazione della dignità umana: essa infligge una sorta di senso di insignificanza o, peggio ancora, di inesistenza.
La povertà non è un destino ma un’ingiustizia. Quest’ultima considerazione permette di compiere il passaggio dalla prospettiva sociologica a quella teologica: “alla radice della povertà – scrive Gutiérrez – vi è l’ingiustizia, che è il rifiuto di amare; in altre parole il peccato”.
Nel Vangelo si incontrano due tipi di povertà: quella materiale e quella spirituale, o come la chiama l’Autore, infanzia spirituale. Ebbene, l’opzione preferenziale per i poveri – espressione propria di Gutiérrez – deve essere rivolta verso coloro che appartengono alla prima categoria; la povertà, infatti, non rientra nel progetto di Dio che è fatto per la vita.
Come dire a un povero – si chiede l’Autore – che Dio lo ama? Occorre innanzitutto che vi sia qualcuno che glielo annunci; ma anche che questo qualcuno glielo mostri nella carne, che si faccia uno con lui in tutto, secondo quel principio che altro non è che quello dell’incarnazione: l’opzione fondamentale per i poveri è perciò la modalità per risiedere in tale divino principio dinamico e perpetuarlo.
È solo risiedendo nel suddetto movimento che si manifestano i peculiari tratti di Dio che, a loro volta, assumono l’uomo. L’amore per i poveri è quello che meglio incarna, da un lato, la gratuità dell’amore divino (esso non esige niente in contraccambio); dall’altro, la tensione tra le dimensioni di universalità e particolarità proprie della dinamica auto-rivelativa di Dio: la particolarità (l’opzione per i poveri) è, a ben guardare, finalizzata ad aprire alla concretezza dell’amore e alla sua universalità.
Tale opzione risulta quindi una chiamata universale, per poveri e non. Essa si struttura sia secondo un livello pratico-sociale: essa “richiede di raggiungere i poveri e di camminare con loro. Riguarda la distribuzione del nostro tempo e delle nostre energie e risorse materiali […] riguarda il nostro impegno con la giustizia”; sia secondo un piano teologico: la teologia della liberazione – asserisce l’Autore – parte dai problemi pastorali, l’esperienza è il locus theologicus di ogni riflessione, “le domande più profonde sono sempre quelle pastorali […] la teologia per essere buona deve essere utile. Deve aiutare la Chiesa ad annunciare il Vangelo […] nel linguaggio contemporaneo”.
In definitiva, l’opzione per i poveri è la partecipatio compiuta al movimento trinitario: l’Amore si comunica per sua stessa natura, e specialmente nei poveri, che hanno maggior spazio in sé per accoglierlo, trova il suo massimo inveramento.