La libertà religiosa nell’Islam – Una spaccatura o apertura?

jihad con lo scopo di restituire la società stabilità da Maometto: una società sotto la shari‘a che non riconosce nessuna religione salvo l’Islam. Secondo Sahih Al-Bukhari – la sunna più autorevole per i sunniti – il profeta dell’Islam si oppose con veemenza un musulmano che cede ad osservare o se lascia la sua religione islamica per un’altra: «Chi cambia religione, uccidetelo». Attenzione, la sanzione non è di mettere in guardia l’individuo che rischia di perdere la sua propria anima, in quanto la sua apostasia minaccia la stabilità della comunità islamica che si affida alle dottrine coraniche interpretate dalla shari‘a. In altre parole, non si tratta di un problema religioso, invece il dilemma è l’esercizio dei diritti umani.

Alcuni capi di stato e i membri della gerarchia ecclesiastica, nonostante la loro posizione che l’Islam è una “religione di pace e di tolleranza”, pur comprendendo che gli islamisti agiscono con la violenza, e che secondo loro, non rappresentano il vero Islam, tuttavia i testi islamici affermano tutt’altra cosa. Per questo motivo, la “voce collettiva” del mondo islamico, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI), composta da 57 membri-stati islamici, inclusi la Turchia e la Palestina, nel’Art. 24 della Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990), hanno proclamato: «Tutti i diritti e le libertà enunciate nelle presente Dichiarazione sono soggette alla Shari‘ah Islamica». In altre parole, la dignità umana ed il bene comune della società soltanto si possono promuovere e tutelare se l’uomo si sottomette alle norme regolate dagli insegnamenti ed dagli atti del profeta. Di conseguenza, per le regole in vigore in tutti i paesi musulmani, l’apostata è condannato a morte, inclusa la proibizione fare proseliti tra i fedeli di Maometto, se si è di altre confessioni. Secondo alcune notizie “on-line”, si pensava che il Consiglio religioso degli Ulema del Regno di Marocco ha tolto la pena di morte, favorendo giuridicamente la libertà religiosa, cioè chi lascia l’Islam non rischia più la pena di morte per apostasia.

Papa Wojtila, durante la sua visita al Marocco nel 1985, pur intuendo la sudetta situazione, fece un discorso indirizzato ai giovani in cui egli ricorda che per quanto concerne il rispetto per l’essere umano, si «richiedono le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Ess[a] favorisc[e] la pace e l’intesa tra i popoli.» Ad oggi, ci sono due arcidiocesi cattoliche in Marocco, Rabat e Tangeri, che custodiscono un gregge di circa 20,000 cattolici. Il dilemma, come già indicato, non era di permettere ai cristiani di praticare pubblicamente la loro religione, ma bensi era la punizione per quei musulmani che diventavano cristiani. A volte essi venivano arrestati e torturati, e dopo forzati di ripetere la shahada: “Non c’è nessun dio che Allah, e Maometto è il suo messaggero”.

Ci sono parecchi uomini politici e religiosi in Marocco che, affinché il Regno sia in grado a sopravvivere e progredire, hanno indicato di una separazione tra lo stato e la religione nell’ambiente pubblico. Questo, come la storia ci mostra, lo ha realizzato Kemal Atatürk per la Turchia. Di conseguenza, la nuova repubblica secolarizzata riuscì ad arrivare ad una autonomia economica e ad una vera indipendenza dai paesi potenti occidentali. Rispetto alla religione islamica statale, Atatürk fece notare che tutti i musulmani del mondo, tranne i cittadini della Turchia, erano sottoposti a dominazione straniera. Egli mantenne in pubblico la distinzione tra Islam come religione in sé razionale e lodevole, e la sua pratica corrente viziata dal fanatismo e dall’arretratezza.

Egli ha proposto “una rivoluzione religiosa” in quanto si deve «rimuovere le idee sbagliate e distorte dal discorso religioso.» Al-Sisi, infatti ha iniziato incontri non solo con le più alte autorità di Al-Azhar, ma anche il papa copto Tewadros II, intellettuali e politici. Il tema della prima riunione era la “libertà di scelta” e il grande dono che questa libertà rappresenta. «Il diritto di scegliere una fede particolare», secondo Al-Sisi, «sia essa cristiana, ebraica o musulmana, è parte inerente della nostra religione».
Sarebbe opportuno per tutti i paesi islamici, se essi vogliono onorare il concetto della dignità dell’uomo e promuovere il bene comune, di somigliare alle riforme kemaliste, cioè di aver una separazione tra religione e stato, per permettere all’individuo, secondo la sua propria coscienza, di scegliere liberamente la sua professione di fede come entrambi la Sede Apostolica e il presidente al-Sisi suggeriscono.