di Mario Alexis Portella • Il problema dell’Isis che ha coinvolto e coinvolge tutti i governi occidentali ed orientali ci porta alla polemica sulla libertà religiosa nel mondo islamico; i terroristi svolgono la loro jihad con lo scopo di restituire la società stabilità da Maometto: una società sotto la shari‘a che non riconosce nessuna religione salvo l’Islam. Secondo Sahih Al-Bukhari – la sunna più autorevole per i sunniti – il profeta dell’Islam si oppose con veemenza un musulmano che cede ad osservare o se lascia la sua religione islamica per un’altra: «Chi cambia religione, uccidetelo». Attenzione, la sanzione non è di mettere in guardia l’individuo che rischia di perdere la sua propria anima, in quanto la sua apostasia minaccia la stabilità della comunità islamica che si affida alle dottrine coraniche interpretate dalla shari‘a. In altre parole, non si tratta di un problema religioso, invece il dilemma è l’esercizio dei diritti umani.
Alcuni capi di stato e i membri della gerarchia ecclesiastica, nonostante la loro posizione che l’Islam è una “religione di pace e di tolleranza”, pur comprendendo che gli islamisti agiscono con la violenza, e che secondo loro, non rappresentano il vero Islam, tuttavia i testi islamici affermano tutt’altra cosa. Per questo motivo, la “voce collettiva” del mondo islamico, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI), composta da 57 membri-stati islamici, inclusi la Turchia e la Palestina, nel’Art. 24 della Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990), hanno proclamato: «Tutti i diritti e le libertà enunciate nelle presente Dichiarazione sono soggette alla Shari‘ah Islamica». In altre parole, la dignità umana ed il bene comune della società soltanto si possono promuovere e tutelare se l’uomo si sottomette alle norme regolate dagli insegnamenti ed dagli atti del profeta. Di conseguenza, per le regole in vigore in tutti i paesi musulmani, l’apostata è condannato a morte, inclusa la proibizione fare proseliti tra i fedeli di Maometto, se si è di altre confessioni. Secondo alcune notizie “on-line”, si pensava che il Consiglio religioso degli Ulema del Regno di Marocco ha tolto la pena di morte, favorendo giuridicamente la libertà religiosa, cioè chi lascia l’Islam non rischia più la pena di morte per apostasia.
Mentre il Re del Marocco, Maometto VI voleva che il parlamento arrivasse a fare una nuova legge che toglieva la suddetta sanzione, gli Ulema hanno sostenuto la norma vigente. Lo sforzo del Re è indubbiamente il frutto, almeno parzialmente, dagli iniziative diplomatiche tra il re Hassan II ed il papa San Giovanni Paolo II negli anni ‘80. In una lettera indirizzata al Romano Pontefice, intrattenendo il futuro Statuto della Chiesa Cattolica nel Regno del Marocco, il re scrisse: «Nel Nostro Paese, da tempi immemorabili uno spirito di intesa fratellanza contraddistingue i rapporti tra cristiani e musulmani. I Nostri antenati ne hanno fatto una regola di vita che non è mai stata trasgredita qualunque siano state le vicende dei tempi passati». Bisogna ricordare che questo gesto da parte del Re del Marocco fu fatto durante gli “anni di piombo”, il periodo caratterizzato dalla pratica della soppressione delle garanzie dello stato di diritto e dal clima di terrore instaurato dallo Stato nei confronti di dissidenti o persone considerate potenzialmente pericolose per l’ordinamento politico vigente.
Papa Wojtila, durante la sua visita al Marocco nel 1985, pur intuendo la sudetta situazione, fece un discorso indirizzato ai giovani in cui egli ricorda che per quanto concerne il rispetto per l’essere umano, si «richiedono le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Ess[a] favorisc[e] la pace e l’intesa tra i popoli.» Ad oggi, ci sono due arcidiocesi cattoliche in Marocco, Rabat e Tangeri, che custodiscono un gregge di circa 20,000 cattolici. Il dilemma, come già indicato, non era di permettere ai cristiani di praticare pubblicamente la loro religione, ma bensi era la punizione per quei musulmani che diventavano cristiani. A volte essi venivano arrestati e torturati, e dopo forzati di ripetere la shahada: “Non c’è nessun dio che Allah, e Maometto è il suo messaggero”.
Molti nel mondo islamico vedono l’iniziativa di Maometto VI come una spaccatura degli insegnamenti del profeta e dei suoi successori, particolarmente dall’OCI che fu fondata nella città capitale di Rabat nel 1969. Gli eruditi islamici, particolarmente gli imam, non se rendono conto che è una “apertura”, secondo una prassi che il Marocco ha avuto da secoli. Ad esempio, esso fu la prima nazione straniera a riconoscere ufficialmente gli Stati Uniti d’America come una nazione indipendente e sovrana con il “Moroccan–American Treaty of Friendship” (il Trattato di Amicizia Marocchino-Americano) sotto il sultano Maometto III nel dicembre 1777; le relazioni diplomatiche tra tutti e due popoli sono state formalizzate 1786, e firmato nel gennaio 1787 da Thomas Jefferson e John Adams, entrambi ministri plenipotenziari degli Stati Uniti d’America.
Nel 2012, per poter rispondere ad una questione giuridica sollevata sul tema della libertà religiosa, il Consiglio degli Ulema aveva dato una risposta, una “fatwa”, in linea con gli altri paesi musulmani. Ai tempi, quella decisione aveva suscitato perplessità. Anche se il Marocco per ragioni storiche è un paese multiculturale, aperto anche alle altre religioni, e si era dovuto adeguare, almeno dal punto di vista religioso. La giustizia penale non si è allineata. Chi tra i marocchini voleva convertirsi, doveva emigrare per non rischiare la pena di morte. Infatti, nel 2010, è stimato che 150,000 musulmani marocchini sono diventati cristiani; quasi tutti sarebbero sottomessi alla morte. I giuristi marocchini sono tornati sulla questione e in punta di diritto non hanno rinnegato quella loro precedente fatwa per ritrovare la strada di un “Islam aperto”. Nel mese di febbraio di quest’anno, è stato pubblicato su alcuni giornali “on-line” che nel Regno di Marocco, gli Ulema hanno tolto la pena di morte per il crimine dell’apostasia. Invece, loro hanno spiegato: «Chi cambia religione, uccidetelo», a “chi abbandona l’Umma (la comunità) deve essere ucciso”. Il termine umma, significava ai tempi di Maometto “due nazione” in contesto di guerra; era un problema politico. Quindi, abbandonare il gruppo di Maometto a passare al campo del nemico era un tradimento. E dunque, giustificabile, chi fa questo (passa al nemico) merita la morte. Oggi, “l’umma” si riferisce al “gruppo di musulmani”, e di conseguenza chi abbandona i confratelli (il gruppo) deve essere punito.
Ci sono parecchi uomini politici e religiosi in Marocco che, affinché il Regno sia in grado a sopravvivere e progredire, hanno indicato di una separazione tra lo stato e la religione nell’ambiente pubblico. Questo, come la storia ci mostra, lo ha realizzato Kemal Atatürk per la Turchia. Di conseguenza, la nuova repubblica secolarizzata riuscì ad arrivare ad una autonomia economica e ad una vera indipendenza dai paesi potenti occidentali. Rispetto alla religione islamica statale, Atatürk fece notare che tutti i musulmani del mondo, tranne i cittadini della Turchia, erano sottoposti a dominazione straniera. Egli mantenne in pubblico la distinzione tra Islam come religione in sé razionale e lodevole, e la sua pratica corrente viziata dal fanatismo e dall’arretratezza.
Recentemente, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha notato che il terrorismo e le diverse violazioni dei diritti umani nel mondo islamico sono motivate da come gli imam ed i giuristi interpretano i testi islamici: il Corano, la Sunna ed il Siria (la prima biografia su Maometto scritta da Ibn Ishaq alla metà del 700). In un discorso all’università Al-Azhar del Cairo (l’università par excellence del mondo sunnita per i studi islamici), nel 28 dicembre 2014, in presenza anche delle massime autorità religiose, Al-Sisi disse: «…il corpo di idee e di testi che abbiamo santificato nel corso di secoli, fino al punto che separarsene è diventato quasi impossibile, si sta inimicando il mondo intero. Si sta rendendo nemico il mondo intero!». Egli ha proposto “una rivoluzione religiosa” in quanto si deve «rimuovere le idee sbagliate e distorte dal discorso religioso.» Al-Sisi, infatti ha iniziato incontri non solo con le più alte autorità di Al-Azhar, ma anche il papa copto Tewadros II, intellettuali e politici. Il tema della prima riunione era la “libertà di scelta” e il grande dono che questa libertà rappresenta. «Il diritto di scegliere una fede particolare», secondo Al-Sisi, «sia essa cristiana, ebraica o musulmana, è parte inerente della nostra religione».
Sarebbe opportuno per tutti i paesi islamici, se essi vogliono onorare il concetto della dignità dell’uomo e promuovere il bene comune, di somigliare alle riforme kemaliste, cioè di aver una separazione tra religione e stato, per permettere all’individuo, secondo la sua propria coscienza, di scegliere liberamente la sua professione di fede come entrambi la Sede Apostolica e il presidente al-Sisi suggeriscono.