di Francesco Vermigli • Per quanto ne sappiamo, è stato casuale che la sera del 23 marzo la veglia di preghiera presieduta dal cardinal Bagnasco per i 60 anni dei Trattati di Roma si sia tenuta nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Sarà forse stata la simbolica vicinanza ai luoghi romani più significativi della politica e delle istituzioni a far cadere la scelta su questa chiesa a due passi dal Pantheon: in quella Basilica, la Chiesa si è rivolta a Dio perché custodisca la vocazione civile e culturale del Vecchio Continente. Gli è però che tale Basilica conserva la memoria di una santa, che ha molto da dire alla stessa Europa di oggi.
Con il motu proprio «Spes aedificandi» del 1 ottobre 1999, Giovanni Paolo II elevava in una sola volta al rango di compatrone d’Europa tre grandi sante: Brigida di Svezia, Edith Stein e, appunto, Caterina da Siena, le cui spoglie sono raccolte nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva; essendo già patroni del Vecchio Continente Benedetto (per decisione di Paolo VI, nella Lettera Apostolica «Pacis nuntius» del 24 ottobre 1964) e Cirillo e Metodio (per volontà dello stesso Giovanni Paolo II, con la Lettera Apostolica Egregiae virtutis del 31 dicembre 1980). Se si percorre il testo di quel motu proprio di fine millennio, si apprezza cosa intendesse fare Giovanni Paolo II, nel momento in cui dichiarava patrone tre sante appartenenti a contesti sociali differenti e ad epoche diverse. Ma la nostra attenzione cade su Caterina, non fosse altro per il fatto che la sua ricorrenza liturgica quasi chiude il mese di aprile, appena iniziato. Ci chiediamo: cosa significa per l’Europa di oggi avere come patrona una donna come Caterina? cosa significa in modo particolare per quell’Europa che ha appena celebrato i 60 anni dei Trattati di Roma, tra ingenti misure di sicurezza?
La risposta viene ad un tempo dagli scritti e dalla vita di Caterina. Caterina è espressione di una santità dinamica: è una ragazza di semplici origini e di intensissima vita spirituale; è una mistica, discepola di san Domenico; è una donna ardente di passione per il Signore. Soprattutto, Caterina è colei che incita alla rinnovazione spirituale coloro che ai suoi tempi avevano responsabilità politiche ed ecclesiali; Caterina è poi strumento di pace e di comunione per la Chiesa e per il mondo. Diffonde lettere infiammate a papi e cardinali, re e signori; sempre invocando la conversione, la riconciliazione e la ricerca della volontà di Dio in ogni situazione. Scrive un trattato giustamente noto, il Dialogo della divina Provvidenza: ed è qui che si mostra quel tratto della sua spiritualità, riconoscibilissimo nel panorama della letteratura mistica di ogni tempo. Qui la sua esperienza mistica si fa profezia; perché il suo rapporto con Dio sfugge ad ogni intimismo. Nella linea della grande Ildegarde di Bingen, Caterina è certa che ogni esperienza di Dio debba riversarsi nella storia, per indicare a quest’ultima la strada da seguire, per richiamare i potenti alle loro responsabilità, per mostrare la vicinanza di Dio. Caterina invita a guardare alla presenza benevolente di Dio per l’uomo, per la Chiesa, per il mondo; quella presenza siglata nel titolo della sua opera più celebre dalla stessa parola “Provvidenza”.
Cosa ha da dire allora la figura e il pensiero di Caterina all’Europa di oggi? La santa senese mi pare inciti a sognare un’Europa più grande, in un momento come il nostro in cui da ogni parte giungono osservazioni sulle scarse prospettive ideali dell’Europa. Ci guardiamo bene, però, dall’immischiarci nei dibattiti sulle competenze e sulla legittimità democratica delle istituzioni europee. Questo ci basta notare: che la figura e il pensiero di Caterina danno all’Europa il messaggio di un rinnovamento ideale, si direbbe, ab imis. “Rinnovazione” e “riconciliazione” sono le parole chiave del patronato di Caterina per l’Europa. “Rinnovazione” ci pare significhi tornare alle ragioni che hanno dato inizio all’esperienza europea: tornare allo sguardo con cui uomini del calibro di Spinelli e De Gasperi, Schuman e Adenauer hanno visto il futuro del Vecchio Continente. La parola “riconciliazione” poi nella concreta vicenda europea è strettamente legata alle origini stesse dell’Unione, se si pensa che essa è nata sulle ceneri di un continente devastato da una guerra scellerata e catastrofica.
Ma, ancora prima, Caterina non ha da dire solo qualcosa alle istituzioni europee: la santa senese richiama l’intero tessuto sociale europeo al senso d’appartenenza ad una comunità da rifondare e da rinnovare, che chiede d’essere resa più salda e più solidale. Caterina invita alla pacificazione e alla riconciliazione una società lacerata da ideologie di ogni provenienza e frantumata da un individualismo spesso becero. In maniera ancora più profonda, ad una società idealmente e culturalmente sfiancata Caterina annuncia la buona notizia che la storia e il futuro è nelle mani non dei potenti di questo mondo, ma di Colui che innalza gli umili e dei superbi si fa beffe, perché li disperde nei pensieri del loro cuore.