di Andrea Drigani • San Giovanni Crisostomo affermava che «Chiesa e Sinodo sono sinonimi», perché la Chiesa – ha osservato Papa Francesco – non è altro che il camminare insieme del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore. La citazione del Crisostomo ci rammenta, dunque, quanto sia antica la dimensione della sinodalità all’interno del cristianesimo. Un’ulteriore riprova di tale antichità la troviamo nella Regola di San Benedetto, composta nel VI secolo, in particolare nel numero III: «La convocazione dei fratelli a consiglio» («De adhibendis ad consilium fratribus»). E’ quanto mai utile e opportuno rileggerla: «Ogni volta che in monastero vi sono questioni importanti da trattare, l’abate convochi tutta la comunità e spieghi personalmente di che si tratta. Dopo aver ascoltato il parere dei confratelli, consideri bene la cosa tra sé, e decida ciò che avrà giudicato più utile. Abbiamo detto di convocare tutti a consiglio perché spesso il Signore rivela anche a chi è più giovane la soluzione migliore. I confratelli esprimano il loro parere in spirito di piena sottomissione e umiltà, e non presumano di sostenere ostinatamente quanto sembra loro giusto, ma la decisione dipenda dall’abate, e tutti obbediscano a ciò che egli avrà giudicato più conveniente. Però, come è giusto che i discepoli obbediscano al maestro, così anche questi deve disporre ogni cosa con prudenza ed equità». Questo testo, perennemente attuale, merita di essere postillato. Una prima considerazione attiene alla circostanza che in presenza di problemi sulla modalità di agire di una comunità ecclesiale, la responsabilità di risolvere questi problemi non appartiene esclusivamente a che ha la guida della comunità, bensì si estende, sia pur con gradi diversi, all’intera comunità ecclesiale. Di qui, secondo l’indicazione benedettina, la necessità, da parte del superiore, di chiedere e di ascoltare il parere di tutti, anche dei più giovani; poichè si è vero che l’anzianità, presenta un’attitudine più sapienziale a motivo delle pregresse esperienze, tuttavia lo spirito del Signore soffiando dove vuole può ispirare pure un giovane. La «Regula Benedicti» precisa con quale stile si deve dare il parere: «cum omni humilitatis et subiectione», evitando la caparbia presunzione di essere nel giusto. Ciò fa venire in mente quanto stabilito nel can.212 § 3 del Codice latino e nel can.15 § 3 del Codice orientale, laddove si precisa che tutti i fedeli in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, hanno il diritto, e anzi talvolta il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su quello che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo presente l’utilità comune e la dignità della persona. La Regola di San Benedetto fornisce anche al capo della comunità un orientamento in ordine all’ascolto dei pareri: «tractet apud se et quod utilius iudicaverit faciat». E’ quanto ancora si legge nel can. 127 § 2, 2° del Codice latino e nel can. 934 § 2, 3° del Codice orientale quando si statuisce che il Superiore, nel caso in cui per compiere determinati atti giuridici necessita del consiglio di alcune persone, pone invalidamente tale atto se non ascolta le persone medesime e si dichiara che il Superiore, sebbene non sia tenuto da alcun obbligo ad accedere al loro voto, benchè concorde, tuttavia, senza una ragione prevalente, da valutarsi a suo giudizio, non si discosti dal voto delle stesse, specialmente se concorde. Il cardinale Francesco Coccopalmerio, noto canonista, scrive che: «Quanto all’accettazione dei consigli dei fedeli è parimenti chiaro che, se si deve da un lato affermare che i Pastori sono liberi nell’accettare o no i consigli, dall’altro si deve ritenere che le motivazioni per non accettarli sono nella Chiesa peculiari. Pare di dover affermare che i Pastori devono avere motivazioni fondate e gravi proporzionatamente alla natura delle cose. In altre parole dovrebbero essere motivazioni di convinzione, per quanto fondata e grave, ma pensiamo sia necessaria una motivazione di questo tipo: se accetto questo consiglio, compio qualcosa di errato in coscienza, qualcosa che il Signore non potrebbe approvare. Tale almeno, nella coscienza del Pastore». La «Regula Benedicti» ribadisce l’obbligo da parte dei monaci di obbedire all’abate, ma quest’ultimo deve sempre agire con giustizia, nel timore di Dio e nell’osservanza della regola, consapevole che di ogni sua decisione dovrà rendere conto a Dio che è giustissimo giudice («de omnibus iudiciis suis aequissimo iudici Deo rationem redditurum»). Come si sa la legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime («salus animarum»): un plurale che ricorda ai cristiani di agire tutti insieme nel Signore.